Gli esperti dell’Oxford Cotswold Archaeology, in collaborazione con l’ente statale National Highways, comunicano sui canali mediatici a loro disposizione il ritrovamento di reperti “veramente significativi” risalenti al Paleolitico. Il tutto accade durante dei lavori di manutenzione autostradale, localizzati sulla A66. L’arteria collega in direzione ovest-est le contee del North Yorkshire e della Cumbria. Questa porzione di territorio, geograficamente collocata nel settentrione inglese, è per i ricercatori una sorta di “forziere antico” contenente manufatti e reperti di un passato talvolta remotissimo.
I resti sui quali si sono concentrare le attenzioni degli archeologi sono composti prevalentemente in selce. Gli oggetti preistorici riposavano adagiati sul fondo di una fossa, scavata per la prima volta durante il periodo del Paleolitico superiore – la terza ed ultima suddivisione del Paleolitico secondo la cronologia convenzionale. Stando alle prime stime proposte dai ricercatori direttamente coinvolti nelle indagini, gli oggetti potrebbero avere dai 14.000 ai 10.000 anni.
Prima di approfondire ulteriormente l’entità della scoperta, è doveroso sottolineare l’importanza che l’A66 riveste a livello storico e, in questo specifico caso, archeologico. Il termine “forziere antico” utilizzato pocanzi trova una spiegazione nell’esistenza di lunga durata per quanto riguarda la strada. La suddetta dovrebbe avere all’incirca 10.000 anni, essendo stata percorsa dai locali fin prima del VII millennio a.C. Solo i romani, a cavallo tra I e II secolo d.C., realizzarono tuttavia la pavimentazione tradizionale. L’amministrazione imperiale romana comprese velocemente il rilievo strategico di quel tratto viario che collegava l’Eden Valley allo Stainmore Pass. Si spiega così la sopravvivenza del tratto, trafficato addirittura fin dall’Età della Pietra.
Detto ciò, ritorniamo ai reperti in selce del Paleolitico superiore. Su di essi e sul contesto della loro origine, i ricercatori dell’Oxford Cotswold Archaeology hanno rilasciato dei commenti a mio parere fondamentali e curiosi. Così si esprime Helen Evans, archeologa intervenuta nella ricerca: “Il clima freddo e l’ambiente naturale [simile alla tundra] sarebbero stati piuttosto diversi da quelli odierni e, sebbene siano comunemente indicati come popoli delle caverne, è probabile che le piccole comunità conducessero un’esistenza abbastanza mobile, dedita prevalentemente alla caccia ed al reperimento ordinario di beni primari”.
Altri ricercatori, dei quali non conosciamo i nominativi, pongono l’accento sulla straordinarietà del ritrovamento: “Gli strumenti che abbiamo trovato rivelano con estrema chiarezza la loro natura. I nostri antenati preistorici erano soliti maneggiare questi oggetti come strumenti d’offesa, certamente per la caccia, ma anche per la difesa. Tali reperti sono rari in Cumbria. È anche insolito trovare manufatti del Paleolitico superiore in una struttura artificiale come una fossa. Solitamente gli agenti atmosferici hanno la meglio su queste conformazioni nate dall’opera antropica. Questa volta siamo stati fortunati!”.
L’indagine non termina qui, perché in estate è prevista una seconda campagna di scavi. Gli archeologi si aspettano di imbattersi in ulteriori reperti di rilevanza degna di nota. Tuttavia il lavoro non conosce battute d’arresto, viste le analisi in laboratorio che si succederanno nelle prossime settimane.