Ok, l’intelligenza artificiale compie passi da gigante ogni anno che passa e sì, i super computer hanno una capacità di calcolo fuori da ogni logica, eppure, anche con l’ausilio di suddetti mezzi, alcuni idiomi del passato – la cui cognizione si è persa nelle sabbie del tempo – sfuggono ancora oggi alla nostra comprensione. Tanti aggettivi potrebbero essere accostati a queste lingue: enigmatiche, indecifrabili, oscure, ermetiche e via dicendo. La premessa serve a instillare un dubbio legittimo: quanti e quali linguaggi continuano a far scervellare ricercatori, appassionati ed esperti linguisti?
Genericamente si parte da una situazione preliminare semplice e diretta. Lo studioso si interroga sulle conoscenze accumulate su scrittura e lingua parlata di un determinato popolo. Spesso non si sa nulla di un elemento; altrettante sono le volte in cui non si ha concezione di entrambi i fattori. Discostandoci dalla sfera teorica e approdando in quella pratica, si può fare l’esempio degli Etruschi. Il loro sistema di scrittura si sviluppò sotto l’influenza della cultura ellenica. Dai Greci essi assunsero l’alfabeto, perciò la stesura delle proposizioni proseguiva da sinistra verso destra. Tale adozione dovette però fare i conti con il parlato quotidiano, ancora oggi un grande mistero per la linguistica antica. In definitiva, chiunque (o quasi) potrebbe leggere un’inscrizione etrusca, senza tuttavia poterne comprendere il significato.
Ma cosa accade quando della lingua in questione non si conoscono che poche, pochissime fonti, per lo più “isolate” e prive di influenze linguistiche esterne? Questo caso estremo è, ad esempio, quello del rongorongo, antico sistema di caratteri usato dagli abitanti dell’isola di Pasqua. Del rongorongo l’umanità conserva 26 documenti: per lo più tavole in legno e pietra. L’andamento dei glifi tipici di questa scrittura è di tipo “bustrofedico inverso”, ovvero si legge da sinistra verso destra, partendo dalla parte bassa del testo risalendo fino all’estremità superiore. Una delle lingue più complesse da decriptare! Il perché è presto detto. A differenza di alcune lingue dell’antichità, tradotte con idiomi coevi conosciuti, non esiste alcuna Stele di Rosetta per il rongorongo. Probabilmente l’enigma rimarrà tale per sempre.
Dall’isola di Pasqua spostiamoci ad est, compiendo l’ultimo pezzo di Pacifico e giungendo alle Civiltà Precolombiane, campionesse di incomprensibilità linguistica e scritturale. Ricordate gli Olmechi? Ecco, intorno al I millennio a.C. questo popolo realizzò una tavola contenente 62 glifi, alcuni chiaramente ispirati alla forma di frutti tropicali. Tuttavia dalla tavola, ritrovata negli anni ’90 dello scorso secolo, non si è ricavata neppure una vaga traduzione. Eccessivamente contorto l’intreccio tra sillabe e logogrammi (disegni che prendono il posto di parole).
Perché non ruotare il mappamondo e puntare il dito sullo splendido e nostrano Mediterraneo, sull’isola di Creta per la precisione. Le antiche grafie cretesi svelano un fascino quasi senza eguali ed è proprio questo charme ad alimentare un mistero senza capo e coda; un mistero chiamato “lineare A“. Quest’ultima fu il sistema di scrittura della civiltà minoica, ivi sviluppatasi durante l’Età del Bronzo, dal 2.700 a.C. al 1400 a.C. Dalla “lineare A” si sviluppò la “lineare B”, scrittura micenea che oggi consideriamo come la versione arcaica del greco e che possiamo decifrare grazie ai lavori del linguista britannico Michael Ventris a metà degli anni ’50 del XX secolo. Nonostante questo collegamento ipotetico, la “lineare A” non ha un bel niente in comune col greco e i continui tentativi di trovare uno schema utile all’analisi, alla comprensione e alla traduzione finale falliscono a ripetizione.
Infiniti sono poi i reperti non attribuibili a civiltà specifiche per mancanza di informazioni dettagliate o per poca chiarezza della fonte stessa. Manuali, pittogrammi, tavole ricche di iscrizioni enigmatiche. Il mondo ne è pieno, sta a noi rimboccarci le maniche e cercare, nel limite del possibile, una soluzione a tutto. Missione impossibile? Beh, tentar non nuoce.