La campagna di scavi condotta in Piazza Sant’Ambrogio, dall’Università degli Studi di Milano, ha portato alla scoperta di 56 corpi seppelliti di fronte alla Basilica di San Vittore al Corpo in un arco temporale che dal Tardoantico va fino al XVI secolo. Tuttavia i ricercatori sono rimasti colpiti da un particolare individuo, vissuto in una forbice di tempo abbastanza larga, ragion per cui poco esatta ma indicativa: dal 1290 al 1430. Gli esami radiochimici hanno stabilito come l’uomo venne a mancare prima di aver compiuto i 20 anni d’età. Come? Beh, nel peggiore dei modi possibili: condannato al Supplizio della Ruota.
Al momento del ritrovamento, il ragazzo presentava diverse lesioni ossee, soprattutto tra gli avambracci e nella zona inferiore del corpo. Il volto anche non fu risparmiato dalla violenza altrui. Esatto, perché tutte le fratture evidenziate – tra cui quella “definitiva” del cranio, evidente segno di una decapitazione non proprio pulita – hanno condotto gli esperti a maturare una chiara ipotesi sul trapasso del pover’uomo.
E torniamo al succitato Supplizio della Ruota, in cosa consisteva? Il boia bloccava il malcapitato su una ruota in legno abbastanza larga da contenerlo; dopo avergli fratturato tutte le ossa del corpo con il moto del cerchio, gli arti andavano ad incrociarsi con i raggi dello strumento, così da infliggere ulteriori pene. Alla fine il condannato andava incontro alla decapitazione o, in alcuni casi, si ritrovava un pugnale conficcato fatalmente nell’addome. Seppur esistano fonti dell’epoca (tanto letterarie quanto figurative) che riportano nel dettaglio l’iter dell’esecuzione, mai prima d’ora gli archeologi avevano avuto a che fare con una testimonianza così diretta, come può esserlo lo scheletro di un sfortunato.
Se invece volessimo porci la domanda sul perché della condanna, dovremmo affidarci allo sviluppo delle ipotesi fin qui proposte. Sono supposizioni interessanti che lasciano spazio a considerazioni di vario tipo. Il giovane e sventurato meneghino presentava anche delle malformazioni ossee evidenti. Oltre a ciò, egli poteva “vantare” un’altezza di circa 11 centimetri inferiore alla media dell’epoca (questa si attestava, per gli uomini, al metro e sessanta circa).
In seconda analisi, dobbiamo ricordarci dell’epoca di riferimento proposta dallo studio. Gli anni in cui il ragazzo visse (e morì) abbracciano, anche se non totalmente, l’età della grande peste che falcidiò mezza Europa. Vero che la pestilenza del 1347 risparmiò miracolosamente la Milano viscontea, tuttavia l’autorità prese dei provvedimenti a tal riguardo, contrastando e respingendo il male. E se tra questi decreti ci fu anche quello di “sacrificare” eventuali portatori del soffio pestifero? Certamente un ragazzo malformato, anomalo per la società del tempo, poteva essere vettore del flagello. Discriminarlo socialmente fu (forse) la scelta più ovvia per la catena di comando milanese.
Come detto, si tratta di una congettura, interessantissima, ma pur sempre di una tesi ipotetica stiamo parlando. Una verità sul ragazzo sacrificato al Supplizio della Ruota forse non verrà mai a galla, ma va sottolineato l’instancabile impegno degli archeologi. È grazie a loro se oggi possiamo parlare di storia analizzando un numero maggiore di prospettive, non cadendo nell’errore dell’unica campana. Gli scavi di Sant’Ambrogio sono ne sono una dimostrazione.