Prima che la civilizzazione varcasse i confini del Selvaggio West a cavallo tra il XIX e il XX secolo, quel posto e quell’epoca rappresentarono a lungo qualcosa di affascinante e cruento, desiderabile e repellente. Di certo quelli furono gli anni della caccia all’oro, della colonizzazione forzata a danno di chi quelle terre le considerava casa da sempre, dei saloon e del moonshine. Tutto molto bello, però solo all’interno della bolla maschile dominante. Eccezioni ve ne furono e una di queste si chiamava proprio Calamity Jane.
Martha Jane (poi Calamity) nacque nel 1852 da una famiglia tutt’altro che stabile. La madre, ex prostituta, morì quando la piccola Martha aveva pochi anni. Il padre, che le insegnò a cavalcare prima ancora che camminare, aveva problemi seri col gioco d’azzardo nonché con l’alcol. Quest’ultimo partì dal Missouri in cerca di fortuna nel Montana. Martha e i fratelli lo seguirono. Le cose non andarono come previsto, perciò la famiglia fece i bagagli e si trasferì, questa volta in un ranch nello Utah. Quando Martha crebbe capì di dover dare una mano per portare un po’ di pane a casa; trovò qualche lavoro di fortuna ma non fu abbastanza.
Allora fece una pesante scelta, seppur comune a molte ragazze della sua età in quel contesto così ottuso e machista. Martha Jane si prostituì in una locanda di Fort Laramie, luogo di perdizione e divertimento sfrenato per cow-boy, scommettitori, cacciatori di taglie e fuorilegge. Proprio di un bandito si innamorò, non uno qualunque, bensì Wild Bill Hickok. Stando alle memorie scritte dalla medesima protagonista, con Wild Bill si sposò, ma di certezze sulla vita di Calamity Jane non ve ne furono allora, figuriamoci adesso.
Ma com’è che la nostra donzella del Missouri divenne così famosa in quel selvaggio, aspro, inospitale West? Partiamo da un presupposto non secondario. Martha Jane non era una donna qualunque per l’epoca. Sapeva cavalcare, sparare con qualunque tipo di arma, atteggiarsi nei più malfamati saloon, masticare e sputare tabacco come se non ci fosse un domani e, fondamentale requisito per l’epoca, bere, eccome se lo sapeva fare. Di fatto morì per colpa della bottiglia nel 1903, a 51 anni. Prima di lasciarci le penne, si fece un nome.
Iniziò a vestirsi da uomo e mostrare la sua abilità da pistolero durante le incursioni a danno degli accampamenti dei Nativi. Forse fu proprio durante una di queste aggressioni che, salvando la vita di un ufficiale, guadagnò l’appellativo di “Calamity Jane”. In realtà si pensa che il nome d’arte se lo sia meritato in quanto “amante sregolata, imprevedibile come una calamità naturale“.
L’autobiografia della Jane ovviamente tende ad esagerare molti aspetti della sua vita, raccontandoci le imprese di un’eroina indomita, sempre pronta all’azione. Sappiamo invece come negli ultimi anni della sua esistenza, pur di non cadere nella povertà più assoluta, iniziò ad esibirsi nei teatri popolari. Alla fine dei conti, quel che si evince è la figura di una donna-pistolero, la prima in quel mix di testosterone e whisky, che fece dell’anticonformismo la sua personale ed indelebile firma sulle bianche pagine della storia.