Il sacco di Roma del 1527, perpetuato per mano dei Lanzichenecchi, provocò una tale devastazione nella città da impressionare fortemente la cristianità. I cattolici erano sconcertati, mentre i protestanti, ugualmente coinvolti, ritenevano questo evento una giusta punizione alle infinite colpe della curia romana. Quali furono le premesse di un attacco così spregiudicato?
I Lanzichenecchi erano soldati tedeschi di fede luterana, al servizio dell’imperatore Carlo V. Il suo avvento al trono lo aveva posto a capo di un impero sconfinato e fu proprio la vastità delle sue risorse a destare la preoccupazione degli altri paesi europei. Specificamente, il grande nemico di Carlo V fu Francesco I, re di Francia. La guerra che li vide protagonisti scoppiò all’inizio del ‘500, risolvendosi solo nel 1559, con la pace di Cateau-Cambrésis. Tra l’altro, non furono nemmeno loro due a firmarla, bensì i loro successori Filippo II di Spagna ed Enrico II.
Insomma, Francesco I decise che l’imperatore costituiva una minaccia troppo grande, e per contrastarne l’egemonia formò la cosiddetta Lega di Cognac. Si trattava di un’alleanza decisamente antispagnola, a cui aderì anche il papa Clemente VII. Le inquietudini di quest’ultimo erano similari a quelle francesi: un impero troppo potente, sconfinando in Italia, avrebbe rischiato di soffocare i territori appartenenti alla Chiesa. Carlo V si infuriò terribilmente per quel voltafaccia, poiché oltretutto Clemente VII si era avvalso del suo appoggio nelle elezioni pontificie.
Nel 1527, i Lanzichenecchi marciati in Italia per annientare la Lega di Cognac erano ben 12 mila. Dal momento che dall’imperatore non avevano ricevuto più denaro né sostentamento, si diedero al saccheggio delle campagne e infine della stessa città di Roma. Carlo V non fece niente per prevenire questa catastrofe. Il fatto che essi fossero protestanti aggravava molto la loro dose di rancore. Erano vissuti in un contesto di odio feroce verso Roma, città peccaminosa per eccellenza, dove risiedeva l’Anticristo in persona: il papa. Di conseguenza agirono diversamente da altri saccheggiatori della storia, come goti, vandali e saraceni che in passato avevano risparmiato gli edifici sacri e altri simboli della cristianità.
Il desiderio folle di profanare e annientare il nemico alimentava la furia dei Lanzichenecchi. Poiché Carlo V non li aveva compensati per i loro servigi, erano animati anche da una brama di ricchezze. L’esasperazione e il furore religioso furono al centro di quei mesi di saccheggio, tremendi per i cittadini romani. Non si limitarono a distruggere le chiese, ma anche le biblioteche e numerose opere d’arte, come per esempio la collezione di quadri del cardinale Cesi, della famiglia Cesarini e dei palazzi prelati. Mentre la popolazione subiva abusi e violenze, il papa si barricò nella fortezza di Castel Sant’Angelo.
La lotta senza quartiere tra Impero e Francia, il cui snodo nevralgico avrebbe dovuto essere il Ducato di Milano, coinvolse di riflesso anche Roma, colpevole di aver cercato di liberarsi di un ingombrante sovrano forestiero. Inoltre l’avvenimento risultava ancora più grave, poiché un imperatore di fede cattolica aveva apertamente attaccato un pontefice, vicario di Cristo in terra. La fase del saccheggio durò 8 giorni, mentre l’occupazione della città ben 9 mesi. La Chiesa fu costretta a pagare un ingentissimo riscatto in oro per indurre i mercenari a lasciare la città. Clemente VII dovette inoltre accordarsi con l’imperatore, cui cedette Parma, Piacenza, Modena, Civitavecchia e Ostia. Nel complesso il sacco di Roma costituì un trauma per i contemporanei, rimarcando la debolezza della politica italiana.