Dopo il 1816 se l’avessero continuato a chiamare “Regno di Napoli” nessuno si sarebbe lamentato. Chiaramente la mia è una provocazione, che però incarna la volontà di presentare un quadro che non sempre viene ben descritto o comunque approfondito; una tela che ha per soggetto il Regno delle Due Sicilie con capitale regia la città di Napoli e che presenta, in maniera talvolta confusa, il rapporto non proprio idilliaco tra la Casa dei Borbone e i suoi ricalcitranti sudditi siciliani. Le parole che seguono vogliono toccare l’argomento passando in rassegna gli eventi che lo caratterizzano maggiormente. Eventi racchiusi in un lasso di tempo che va dall’alba della Restaurazione fino all’esplosivo Quarantotto. Iniziamo.
L’indomito spirito siculo mal sopportava, storicamente, il dominio monarchico che si imponeva sull’isola senza concepire (o provare a comprendere) la peculiarità di quel popolo o le esigenze di quel territorio. I Savoia, regnanti sulla Sicilia dal 1713 al 1720, non seppero dare il giusto valore a queste spie accese. La poca accortezza, sotto questo punto di vista, fu un tratto distintivo anche per i Borbone, i quali estesero il loro dominio sull’isola nel 1734, pur non unificando i territori della Trinacria con quelli continentali. Una distinzione puramente formale che decadde nel 1816, con la Restaurazione e la nascita del Regno delle Due Sicilie.
L’unione delle corone di Napoli e Palermo fece male ai siciliani, un dolore simbolicamente rappresentato proprio dal contrasto delle due città, delle due capitali. Una, per forze di cose, avrebbe sacrificato al cospetto dell’altra la propria importanza e di conseguenza la propria centralità. Napoli, già sede della corte borbonica, prevalse. Stesso discorso si potrebbe fare sulla Costituzione siciliana del 1812, ottenuta durante il decennio francese. Questa carta era intrisa di liberalismo e costituzionalismo. La sua soppressione fu un ulteriore colpo sulla già fragile impalcatura statale borbonica in Sicilia e infatti comportò di lì a poco i moti del 1820-21.
Gli elementi di contrasto però non erano solo costituzionali o ideologici, ma anche materiali, concreti, inerenti alla vita comune della gente comune. Cito ad esempio il fatto che l’alto comando militare borbonico impedì la coscrizione obbligatoria in terra siciliana. Una strategia che comportava da una parte il vantaggio di avere un esercito d’occupazione fedele, dislocato sull’isola, ma dall’altra, lo svantaggio di inimicarsi praticamente buona parte della popolazione locale. Sollevazioni che i Borbone faranno sopprimere con l’aiuto degli austriaci, intervenuti a Palermo tra il 1820 e il 1821. C’è da dire come i fuochi di rivolta interessarono prevalentemente la parte occidentale della Sicilia (il catanese e il messinese furono più quieti) e come non sempre l’anima riottosa avesse un comune intento – c’era chi protestava per il ritorno della costituzione, chi chiedeva esclusivamente l’indipendenza, chi ambiva ad una maggiore considerazione da parte dei regnanti.
L’ordine assolutistico di stampo borbonico rimase una realtà ancora per qualche anno, malgrado le accese proteste. Il malcontento sfociò in veri e propri moti nel 1837. Accadde a Palermo, Agrigento e Trapani, città nelle quali si era diffuso il colera e in cui la crisi sanitaria non faceva altro che esasperare una condizione sociale già precaria. Ovviamente fu facile addossare la colpa all’allora sovrano Ferdinando II di Borbone-Due Sicilie, reo di aver “sganciato” la malattia sull’isola. Messina e Catania si sollevarono per le stesse ragioni e da Napoli arrivarono truppe per far sbollentare gli animi. L’azione del marchese borbonico Francesco Saverio del Carretto si risolse in molteplici arresti e sommarie condanne a morte. Alla fine l’allarme rientrò, ma a caro prezzo e per pochi anni.
La prima ad alzare la testa in quell’Europa schiacciata dalla Reazione fu proprio la Sicilia, il 12 gennaio 1848. Il popolo palermitano eresse le barricate e si dichiarò ostile all’ordine costituito. L’autorità del regno rispose bombardando il porto e le immediate zone residenziali dalla fortezza di Castellammare. La pioggia di proiettili però non sedò la rivolta, che anzi divampò nelle campagne. Anche i contadini presero ad assalire gli edifici dell’istituzione borbonica, bruciando carte e documentazioni. Il 25 marzo Palermo si dotò di un parlamento costituzionale e proclamò la rinascita del Regno di Sicilia. I Borbone-Due Sicilie stroncarono in seguito la rivoluzione, ma gli isolani continuarono a lottare, come sempre avevano fatto. Il tempo darà loro ragione.