Il Museo Civico di Savigliano, che si trova in Piemonte e più precisamente nella provincia di Cuneo, ospita una lastra di pietra calcarea datata al VII secolo d.C. A ben guardarlo, il manufatto si rivela essere una croce, anche se leggermente sfigurata dalle ingiurie del tempo. E se vi dicessi che dietro quell’antica lamina si nasconde una delle leggende medievali più affascinanti del nostro paese? Esatto, perché quella è la Pietra Gudiris, non una delle tante “Croci Miracolose” dell’età di mezzo.
Facciamo una salto indietro nel tempo e torniamo al primo decennio del XV secolo. Un contadino svolge il suo sfiancante lavoro di aratura in un campo appena fuori la cittadina di Savigliano. Il vomere, che tra friabile terra e piccoli sassolini non fa alcuna fatica, si blocca all’improvviso. L’urto è tale da far sobbalzare l’umile bracciante; egli è incuriosito e decide di saperne di più. Si mette a scavare e dopo qualche centimetro di terra rimossa si imbatte in una lastra di pietra di un avio spento. L’uomo estrae quella massa e dal vuoto che crea fuoriesce dell’acqua sorgiva. Fin qui la leggenda non ha nulla di mistico ed inspiegabile, vero? Bene, basta aspettare qualche giorno affinché il “miracolo” avvenga anche in quel di Savigliano.
Lui proprio non se ne capacita, eh no. Il contadino non riesce a credere ai suoi occhi. Per ben due volte la croce, dopo esser stata accuratamente riposta all’interno della sua casa, è tornata nel suo luogo d’origine, a bagnarsi di un’acqua divenuta sacra per la comunità locale. La voce si sparge e il latifondista Oggeri, nel quale terreno si è verificata la scoperta, reclama la pietra. Caricata per l’ennesima volta sul carro, la mano divina scuote il manufatto come se volesse farlo tornare nel terreno di provenienza. Oggeri non ne può più: sfodera la spada e colpisce violentemente l’oggetto. Questo inizia a sanguinare, riversando il liquido rosso cupo nelle acque del torrente locale, il Mellea. Inutile dire come anche quest’ultimo, in un giorno di gloria divina e prodigi senza spiegazione, si tinge di porpora.
Il signorotto la paga cara, andando incontro ad un rapido deterioramento fisico che colpirà duro la sua discendenza. La “Croce Miracolosa“, come presto iniziano a chiamarla gli abitanti locali, deve trovare degna casa. Si opta in un primo momento per la cappella di Santa Croce, successivamente per la Chiesa di Santa Maria della Pieve. Affascinanti affreschi decorano l’ambiente santo che ospita la Pietra Gudiris. Oggi quel ciclo pittoresco è andato perduto, salvo qualche riproduzione del 1586, realizzate dall’artista Giovanni Angelo Dolce. La devozione nei confronti della pietra si tramutò in glorificato vandalismo. Coloro i quali nel corso dei secoli (almeno fino al primo Novecento) vollero trarre beneficio dalla “beatitudine celeste” della croce alberata, arrivarono al punto di scalfirla, così da discioglierne le polveri in soluzioni liquide da poter somministrare ai malati. Cura definitiva direbbe qualcuno…
A rendere popolare la Pietra Gudiris non è stata esclusivamente la nomea di artefatto miracoloso, altresì la sua apparente indecifrabilità. Dalla sommità ai piedi della lastra vi sono delle lettere che il giurista seicentesco Carlo Barattà descrisse come: “non latine, né greche, né ebraiche, né avevano forma di alcun carattere conosciuto”. Punto e basta, inutile provarci, son quello che sono senza che nessuno debba interrogarsi sulla loro natura. Fortunatamente alla sprovvedutezza del XVII secolo seguì il metodo razionale dell’Ottocento e quello scientifico del secolo successivo. Nel 1949 Monsignor Alfonso Maria Riberi dà alle stampe un saggio rivelatore. Nel testo viene svelato l’arcano dietro l’epigrafe della Croce Miracolosa.
Nessuna lingua sconosciuta, solo un latino scorretto pieno di errori grammaticali e distorsioni sintattiche. Qui di seguito il testo integrale senza abbreviazioni, tanto nella sua forma latina quanto nella sua traduzione: “In nomine Domini. Hic requiescit venerabilis vir Gudiris presbyter in somno pacis. Et qui posuerit alium in meum hunc sepulcrum, esto a beata requie reiectus: sit ei anathema. Ego Gennarius feci, qui in eo tempore fui magister marmorarius”.
“Nel nome del Signore. Qui riposa il venerabile uomo Gudiris prete nel sonno di pace. E chi avrà posto un altro in questo mio sepolcro venga escluso dalla beata requie: sia a lui l’anatema. Io Gennario ho fatto, che in quei tempi fui maestro marmorario”.
Mistero svelato! La Pietra Gudiris altro non è che una lastra tombale, realizzata da mastro Gennario per il sepolcro del prete Gudiris, il quale la tocca piano e maledice chiunque osi sottrargli l’eterno riposo. Semplice ed efficace, anche per una lastra cimiteriale longobarda del VII secolo.