Forse vi sarà capitato, anche di sfuggita, di osservare un esempio di guerriero piumato azteco, o comunque un combattente completamente rivestito dalla pelle di un giaguaro. Bene, per chi avesse capito cosa intendiamo, quelli sono uomini appartenenti alle più alte classi militari dell’apparato bellico mexica (azteco, termine quest’ultimo sconosciuto ai diretti interessati, ma molto caro alla storiografia occidentale). In un contesto così elitario, si poteva essere un Guerriero Giaguaro o un Guerriero Aquila. Oggi, ci concentriamo sul secondo, un domani vi parleremo anche del primo.
Prima però è necessario fare qualche puntualizzazione sull’esercito azteco, giusto per comprendere la dimensione entro la quale operava. Cadremmo in errore se paragonassimo l’esercito mexica a qualunque corpo d’arme d’età moderna. Facile fare il confronto con gli spagnoli, eh. Le differenze, oltre che dal punto di vista dell’equipaggiamento, della strategia, degli armamenti, sono da ricercarsi a monte. Per cosa combattevano le truppe di qualunque entità territoriale in Europa? Difesa o conquista, almeno per la stragrande maggioranza dei casi.
La stessa domanda, posta ad un capo mexica, riceverebbe una risposta diversa: gli uomini di Tenochtitlan non combattevano per conquista territoriale (assai rara) e neppure per lo sterminio del nemico. No, loro scendevano sul campo di battaglia con l’obiettivo di catturare quanti più nemici possibili. Lo scopo, si sarà capito, era prettamente rituale. Questa diversa prospettiva modifica radicalmente il paradigma bellico delle unità scelte, tra cui quella dei Guerrieri Aquila. Per diventare tale, un soldato doveva catturare vivi quattro prigionieri di guerra, salvo poi sacrificarli tramite rito.
L’atto, compiuto sull’apposito altare, definiva nuovamente lo status sociale dell’iniziato, che adesso assumeva il titolo di cuāuhtli (Guerriero Aquila). Perché proprio l’aquila? Nella mitologia mexica il rapace rappresentava il sole, elemento centrale per la cultura, in quanto garante dell’equilibrio cosmico fin dalle origini, equilibrio alimentato dai sacrifici umani. Si capisce come i Guerrieri Aquila fossero i rappresentati in battaglia del sole, ciò li rendeva sopraelevati a livello sociale. In battaglia, li contraddistingueva una variopinta armatura in cotone trapuntato, decorata con piume d’aquila sparse. L’elmo, aperto sul volto, doveva riproporre esteticamente il becco del rapace sacro.
Ma per diventare Guerrieri Aquila erano necessari degli specifici requisiti. In primo luogo, solo i pilli (membri della nobiltà) potevano entrare negli appositi clan per la formazione militare. Una volta ricevuto l’addestramento base, i futuri combattenti del sole si sarebbero cimentati in un ulteriore avviamento rituale/bellico, alla fine del quale si doveva partecipare ad una battaglia e catturare i già citati prigionieri. A riprova del carattere rituale che la guerra assumeva nella mentalità mexica, si possono analizzare le armi che i cuāuhtli (ma in realtà la maggior parte dei guerrieri) brandivano.
L’arma prediletta era il macuahuitl, una mazza piatta di legno dai bordi taglienti fatti d’ossidiana. Questa non doveva essere letale, quanto più stordente. Ma la rilevanza di questa classe guerriera si denotava anche in tempo di pace: essi e pochi altri potevano aggirarsi tranquillamente con gioielli e vesti pregiate. Oltre ciò, erano tra i pochi a poter varcare le porte del palazzo reale muniti di calzature (sandali). Possedevano poi terre, sulle quali era esente la tassazione. Insomma ricchi e privilegiati, a Huītzilōpōchtli piacendo. Sì, il dio del sole e della guerra.