La seconda metà del ‘700 è comunemente nota come l’era del “dispotismo illuminato”. Sono molti i sovrani europei, come Federico II di Prussia e la zarina Caterina II, a incentivare riforme amministrative, sociali ed economiche. L’obiettivo è la modernizzazione dello Stato e il miglioramento del benessere collettivo. Tra questi sovrani illuminati, ricordiamo l’operato di Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena, sovrano indiscusso nel suo Granducato di Toscana.
Quando nel 1765 egli assunse il governo della Toscana, Pietro Leopoldo I si trovò davanti a uno Stato in piena parabola discendente. Il ruolo brillante rivestito nel Rinascimento era ormai un lontano ricordo. Quello che era un tempo uno dei più influenti potentati italiani, occupava adesso una posizione più che secondaria sul piano internazionale. Tuttavia, una volta rientrato nell’orbita asburgica, il Granducato visse una stagione luminosissima di riforme economiche, amministrative ed ecclesiastiche. E come vedremo, abolendo la pena di morte, fu il primo a concretizzare il pensiero di Cesare Beccaria, autore del celebre saggio Dei delitti e delle pene.
Pietro Leopoldo diventò Granduca di Toscana in sostituzione del padre Francesco. Era ancora giovane e privo di esperienza politica. Tuttavia, egli non si fece scoraggiare dalla desolante situazione in cui versavano i suoi domini e non perse tempo trastullandosi negli agi di corte. Per far fronte alla mancanza di infrastrutture e all’inefficienza della pubblica amministrazione, egli implementò subito una grande quantità di riforme volte a modernizzare gli arcaici apparati fiscali e amministrativi.
Pietro agì anche in campo giuridico. Per superare l’antiquato sistema di giustizia e per depurarlo dei numerosi retaggi medievali, il 30 novembre 1786 emanò la “Riforma della Legislazione Criminale Toscana“. Questo insieme di innovazioni passò poi alla storia come “Codice Leopoldino“, la cui assoluta novità era l’abolizione della pena di morte. Il Granducato di Toscana fu quindi il primo Stato nella storia ad eliminare una così abominevole prassi giudiziaria.
Al tempo la critica più forte espressa contro la pena di morte era stata quella di Cesare Beccaria, uno dei precursori del diritto penale moderno. Egli non la condannava dal punto di vista etico, bensì in ragione della sua totale inutilità nella prevenzione dei crimini. La pena di morte non dissuadeva il cittadino dal violare le leggi, ma alimentava piuttosto la violenza e il risentimento all’interno della società. Attraverso un’analisi empirica dei dati in possesso, Beccaria constatò infatti che esacerbare le punizioni non faceva altro che creare un circolo vizioso di odio e vendetta.
In tal senso, il “Codice leopoldino” aboliva anche la tortura e il carcere preventivo. Sulla scia delle proprie convinzioni liberali, il Granduca di Toscana cancellò anche il delitto di lesa maestà, che molto spesso fungeva da pretesto per criminalizzare il dissenso politico. L’abrogazione della pena di morte nel Granducato durerà purtroppo solo 4 anni. Ritornerà in vigore con la Restaurazione, fino al 1853. Nel complesso dunque, Pietro Leopoldo I viene ricordato per aver dato un forte impulso ai diritti dell’uomo e rimane un simbolo della lotta contro la pena di morte.