A sollecitare la fantasia di storici e archeologi sono state prevalentemente fonti scritte greche e romane. Alcune di queste documentarono in tempi non sospetti la correlazione tra le popolazioni celtiche e una specie di ossequio per le teste umane. Alla luce di questa documentazione – non sempre chiarissima, spesso distorta nel riportare informazioni basiche, bisogna ammetterlo – alcuni esperti dell’Età del Ferro hanno iniziato a parlare di “culto della testa” in seno alla sfera religiosa dei Celti. Cosa c’è di vero? Con quale grado di certezza possiamo fare affidamento alle fonti antiche che ne parlano? Domande legittime, alle quali cercheremo di dare una risposta nei seguenti paragrafi.
Diodoro Siculo nel Libro V della sua Bibliotheca historica, opera di storia universale scritta nel I secolo a.C., ci illustra uno spaccato del suddetto culto che le popolazioni celtiche a lui note praticavano. Si esprime così:
«Quando i nemici cadono, tagliano loro la testa. Poi la legano al collo dei cavalli. Consegnano ai loro attendenti le armi degli avversari, tutte coperte di sangue. Le portano via come bottino, cantando un peana e intonando un canto di vittoria, e queste primizie della battaglia le fissano con chiodi sulle case… Le teste dei nemici più illustri le imbalsamano nell’olio di cedro e le conservano con cura in una cassa. Essi le mostrano agli stranieri, sostenendo gravemente che in cambio di questa testa qualcuno dei loro antenati, o il loro padre, o l’uomo stesso, rifiutò l’offerta di una grande somma di denaro».
Documenti del genere, coadiuvati da prove archeologiche dall’indubbio valore storico-culturale, lasciano intendere o comunque suggeriscono l’esistenza di un “culto della testa”. Se fosse corretto e comprovato, non dovremmo tuttavia stupirci. Considerando il panorama mondiale nel suo insieme durante i secoli dell’antichità classica, i Celti non facevano mica parte di un’esclusiva cerchia di adoratori della testa umana. Una simile fascinazione era tipica di tante altre civiltà, dal sud-est asiatico alla regione mesoamericana.
Restando però sull’estratto del quinto libro della Bibliotheca historica non deve sfuggirci un dettaglio fondamentale. Diodoro Siculo è molto chiaro nell’affermare come le teste umane per i Celti non abbiano solo un valore materiale ed estrinseco (bottino di guerra, manifestazione di superiorità bellica) ma anche uno ancestrale ed intrinseco (gli antenati davano grande valore ai capi imbalsamati, dunque anche noi – popolazioni celtiche del presente – dobbiamo rispettare la tradizione).
E in effetti, se ci affidassimo alle sole evidenze archeologiche, ci accorgeremmo del fatto che qualcosa di vero nelle parole di Diodoro Siculo c’è. Innumerevoli sono i ritrovamenti compiuti nelle aree dell’Europa centro-occidentale dove un tempo vi erano santuari celtici o insediamenti domestici. Scoperte che hanno a che fare con teschi umani con evidenti incisioni di carattere rituale o conservate in stato di imbalsamazione. E ancora: pilastri con nicchie ove riporre crani; teste finemente scolpite a grandezza naturale; ripostigli con tracce di olio di cedro, lo stesso citato da Diodoro Siculo per la tecnica di preservazione dei resti umani.
Facciamo però un esempio concreto. L’Acropoli di Roquepertuse, nella valle dell’Arc, Savoia francese. Il sito archeologico è noto per il suo incredibile patrimonio architettonico, artistico e religioso riguardante la galassia celtica. In questa specifica zona gli esperti rinvennero, oramai più di un secolo e mezzo fa, i resti di un santuario. La popolazione locale sfruttava l’edificio per il “culto della testa”. A suggerirlo la presenza di nicchie incastonate tra i pilastri del tempio, con i rispettivi crani in prossimità della collocazione originale. I teschi di Roquepertuse appartennero a uomini adulti, nessuno dei quali superò i 40 anni di età. Forse furono guerrieri nemici sacrificati dai Celti in nome del credo cultuale.
Altro caso di studio molto noto nel settore è quello dell’Eroe celtico di Boemia. Il nome altisonante riguarda la testa di Mšecké Žehrovice, una scultura di origine celtica rinvenuta nell’omonimo villaggio della Repubblica Ceca nel 1943. La testa scolpita resta innegabilmente una delle opere artistiche più belle e dettagliate a noi pervenute della cultura celtica. Benché non si sappia benissimo a chi fu dedicata (forse un guerriero, probabilmente un druido) è fuori da ogni dubbio il fatto che essa rappresentasse un membro prestigioso della società. A sostegno della tesi vi sono diversi fattori: il ritrovamento della testa all’interno di un sito religioso celtico, le ossa animali vicine al reperto come segno di devozione rituale.
Nonostante tutte le problematiche legate ai criteri d’interpretazione e alla validità delle fonti, diamo per certa la correlazione tra i Celti e il “culto della testa”. Resta una domanda: perché proprio questa parte del corpo? Al quesito possiamo trovare una risposa senza doverci impelagare in ragionamenti astrusi e inutilmente complessi. I Celti credevano che nel capo di ognuno si trovasse la linfa vitale, l’anima, la fonte delle emozioni.
In quest’ottica, mozzare e conservare le teste dei nemici significava possedere il loro spirito, per mezzo del quale poter “relazionarsi” con il divino durante i riti. Anche Giulio Cesare lo affermò nel De bello Gallico. Non si astenne dal farlo Tito Livio, il quale asserì come i Celti fossero soliti abbeverarsi dai crani dei loro nemici (chiamati “recipienti sacri”). L’idea di base era quella per cui tale gesto aveva una funzione curativa, vista anche l’accezione sacrale che le popolazioni celtiche davano alle acque sorgive, raccolte negli ancor più sacri teschi umani.
La risposta in breve è: sì, i Celti avevano un “culto della testa”. Tuttavia sono necessari ulteriori approfondimenti sulla questione, soprattutto a livello accademico. Questi torneranno utili nella comprensione generale della sfaccettata cultura religiosa celtica, affascinante eppure così misteriosa per ragioni che voi tutti potete facilmente intuire.