Si potrebbe dire come tutto inizi nel 2015, anno in cui il giallo della Grotta Loubens è diventato di competenza pubblica, ma in realtà questa è una storia avvolta dal mistero da più di cinque millenni. Alla profondità di ben 26 metri, nella grotta denominata “Marcel Loubens”, nel Parco dei Gessi, a San Lazzaro di Savena (BO), un cranio umano è stato rinvenuto tra lo stupore dei presenti.
La sorpresa aveva senso di manifestarsi. La cavità non è comunicante con l’esterno e soprattutto ha la forma di un pozzo verticale, che scende fino a toccare i 12 metri di profondità. Il teschio era proprio sulla sommità del foro. Come ci era finito là? Ad una prima domanda se ne sono aggiunte man mano delle altre, tutte degne di nota. A chi appartenne quel resto osseo? E perché sulla sua superfice sono evidenti delle lacerazioni?
L’Università di Bologna è intervenuta per rispondere a tali quesiti. Le analisi multidisciplinari hanno condotto a diversi esiti. Prima di tutto, il cranio appartenne ad una donna vissuta nell’Età del Rame, anche detto Eneolitico. I segni sulla calotta cranica lasciano intendere lo svolgersi di particolari rituali funebri di cui ancora non abbiamo esatta contezza. Più di 5.000 anni fa, il corpo esamine della donna doveva trovarsi sul bordo di una vicina dolina. Il maltempo e le intemperie avranno fatto rotolare il cranio giù per la grotta, decretando solo dopo tantissimo tempo la cesura dell’antico passaggio, di cui oggi non vi è traccia.
Solamente nel 2017 gli speleologi hanno potuto recuperare la scatola cranica. Sono seguite delle analisi al radiocarbonio, le quali hanno datato il reperto tra il 3.630 a.C. e il 3.380 a.C. circa. La persona in questione era giovane al momento del decesso (non superava i 30 anni d’età probabilmente). Tuttavia soffriva di problemi salutari non ignorabili, come lo possono essere dei lunghi e continui stress metabolici. Ad indicarcelo sono delle carie sui molari.
L’ipotesi della caduta nella Grotta Loubens è supportata dallo studio dei sedimenti formatisi nel corso del tempo all’interno del teschio. I segni allo stesso modo forniscono informazioni fondamentali sulle pratiche funerarie eneolitiche delle popolazioni locali.
“Questa è la prima chiara evidenza di manipolazioni peri mortem di un cranio in epoca eneolitica in Italia documentata solo dallo studio osteologico, considerando che il contesto in cui è stato trovato il cranio è privo di qualunque altra evidenza antropologica e archeologica. Si tratta di una scoperta che offre importanti indizi per ricostruire le pratiche funerarie delle popolazioni eneolitiche che vivevano nel territorio emiliano-romagnolo” afferma Maria Giovanna Belcastro, coordinatrice dell’intero progetto di studio.