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Il Colosso di Barletta e le sue molteplici identità

Il Colosso di Barletta e le sue molteplici identità

Simbolo indiscusso della città pugliese, il Colosso di Barletta è una scultura bronzea di eccezionale bellezza nonché imponenza. Con i suoi quasi cinque metri di altezza e la sua lunghissima storia, sono in pochi coloro i quali non si sono mai soffermati ad ammirare lo splendore emanato dall’opera. Lunga storia, si è detto, tuttavia costellata di informazioni verosimili, difficilmente comprovabili e scarsamente documentate. Dove manca la certezza, si sa, prolifera l’equivocità delle fonti. Il gigante bronzeo di Barletta, anche detto Eraclio o Aré, non esula da questo discorso. Arrivati al termine della premessa resta da chiedersi: è possibile far luce sul vero passato della magnifica statua?

Il Colosso di Barletta e le sue molteplici identità

Alla domanda si può rispondere solamente interpellando le fonti che ce ne parlano. Togliamoci subito il dente della tradizione, così da concentrarci in seguito e fino alla fine solo sulla realtà storica dei fatti. Nel corso del XVII secolo si iniziò a diffondere un racconto derivante da una cronaca gesuita per la quale la statua, forgiata a Costantinopoli nel V secolo, cadde vittima come tanti altri tesori del sacco veneziano verificatosi nel 1204. La tremenda e infamante Quarta Crociata per capirci.

Il gigante di bronzo fu tuttavia abbandonato nei pressi di Barletta durante il viaggio di ritorno, reso critico da una tempesta e dall’eccessivo peso del carico in stiva. Si dice quindi che alcuni barlettani trovarono il colosso spiaggiato su uno scoglio non lontano dal porto. Tant’è che quella pietra divenne nota in seguito come Mamma Arè, ossia la “Madre di Eraclio”, come se fosse la roccia ad aver generato la scultura. Sebbene sia radicata nella tradizione popolare, questa versione non è supportata da nessuna prova storico-scientifica, nonostante decenni di analisi e ricerche.

Colosso di Barletta simbolo città pugliese

Quindi, come stanno davvero le cose? Certamente la statua è del V secolo e altrettanto corretta è la sua origine romana (bizantina se preferite…). Tuttavia essa non rappresenta l’eroico imperatore Eraclio, nato 575 e morto nel 641, quindi un secolo dopo la realizzazione del nostro colosso.

Un’ipotesi indiscutibilmente valida è tratta da un resoconto duecentesco di un francescano, tale Tommaso da Pavia. Egli racconta come durante gli scavi a Ravenna commissionati da Federico II di Svevia, il quale è risaputo coltivasse una certa passione per le antichità di ogni genere e tipologia, spuntò fuori questa massiccia opera di bronzo. L’imperatore svevo si mostrò desideroso di abbellire le città imperiali del sud Italia come Foggia, Lucera o Melfi. Barletta non era nella lista di Federico II, ma per motivi a noi sconosciuti la statua rimase bloccata nella città affacciata sul Golfo di Manfredonia.

Gli abitanti la eressero nel porto e lì vi rimase per più di due secoli circa, almeno fino al 1491. In quell’anno l’amministrazione cittadina, forse per ragioni di sicurezza o per preservare la statua, scelse di spostare il Colosso di Barletta dalla dogana portuale al centro, precisamente dinnanzi la Chiesa del Santo Sepolcro, dove ancora oggi è locata.

Colosso di Barletta raffigurazione città XVIII secolo

Da buoni storici non possiamo e non dobbiamo soffermarci su una sola fonte, anche se apparentemente esaustiva. La prima (e finora unica) prova estrapolata dalla documentazione amministrativa che testimonia l’effettiva esistenza del gigante bronzeo a Barletta è una richiesta ufficiale del 1309, redatta dai domenicani di Manfredonia e recapitata a Carlo II d’Angiò, re di Napoli e quindi assoluta autorità in quel di Barletta. I domenicani chiesero al sovrano di poter rimuovere dalla statua gambe e braccia così da poterle fondere e realizzare delle campane. Non si hanno tracce di una risposta regia, ma studi dello scorso secolo hanno evidenziato come le uniche parti della scultura a risalire al V secolo sono il busto e la testa. Quasi sicuramente l’Angiò accontentò i frati predicatori.

Così si restituisce un minimo di storicità all’emblema della città pugliese. Eppure nessuna delle fonti è in grado di rivelare al ricercatore di turno nome e cognome del colosso. Nel corso dei secoli, l’identità dell’imperatore raffigurato è stata oggetto di numerose teorie. In passato, si pensava rappresentasse l’imperatore Eraclio, da cui deriva il nome locale. Studi più recenti hanno messo in discussione questa attribuzione. La maggior parte degli storici suggeriscono che la statua raffiguri Teodosio II, imperatore romano d’Oriente per ben 42 anni, dal 408 al 450 d.C.

Colosso di Barletta moneta imperatore Teodosio II

Lo si è detto basandosi su dettagli iconografici come la corona e lo stile dell’abbigliamento, tipici dell’epoca teodosiana. A rafforzare questa tesi ci sarebbe il diadema in stile gotico presente sulla corona che potrebbe indicare un legame con Elia Eudossia, figlia di un generale goto e madre di Teodosio II. Altri elementi lasciano presupporre la validità dell’ipotesi, come il debito di riconoscenza di Valentiniano II, committente della statua a Ravenna e imperatore d’Occidente grazie all’omologo orientale.

Colosso di Barletta acquarello XIX secolo

Arrivati alla fine della fiera, possiamo fornire una convincente risposta al quesito iniziale. Sì, è possibile far luce sul passato del Colosso di Barletta, anche se non senza qualche difficoltà. Nonostante queste incertezze (forse inevitabili vista l’eccezionalità della scultura) sull’origine e sull’identità, il Colosso di Barletta rimane un simbolo storico e culturale di grande importanza. Un prestigioso testimone delle complesse vicende che hanno caratterizzato il Mediterraneo tardoantico e medievale.