“Dios, Patria, Fueros y Rey”, queste sono le quattro colonne del pensiero carlista. Traducibile con “Dio, Patria, Governo locale e Re”, alle spalle di questa quadruplice dichiarazione c’è una vastissima realtà fatta di guerre, dissesto socio-politico, intrighi di corte, cieca violenza e brutale miseria. A chiamarle piaghe si fa presto. E piaghe lo furono davvero, soprattutto per una Spagna malmessa e vacillante, come lo fu quella del XIX e in buona parte anche del XX secolo. Con questo articolo voglio astrarre il Carlismo dalla sua pratica attuazione, analizzandolo nella sua veste ideale, cercando di spiegare perché, fin dalla sua primissima comparsa nel 1833, fu una delle tante cause perdute di un’Europa conservatrice e reazionaria.
La data sopracitata è l’origine di tutto. Il 29 settembre 1833 un morente Ferdinando VII lascia il trono di Spagna a sua figlia primogenita Isabella II di Borbone. Ha meno di 3 anni, perciò ad assumere la reggenza del regno c’è la madre Cristina. Nulla di strano, se non fosse per una grandissima controversia di carattere successorio. Tre anni prima infatti re Ferdinando, non avendo figli maschi, aveva aggiornato la norma sulla successione, de facto introducendo a pieno una prammatica sanzione che permettesse a sua figlia di regnare legittimamente a discapito del di lui fratello, Carlo Maria Isidoro (anche detto don Carlos).
Non ci vuole un genio per comprendere le motivazioni alla base del dissapore espresso fermamente dall’infante Carlo Maria. Quest’ultimo, impugnando metaforicamente la sacra Lex Salica, si sente derubato del trono di Spagna. Il passo successivo è ovvio: nell’ottobre del 1833 don Carlos si autoproclama re. Dalla decisione, supportata da una buona parte della società spagnola, scaturisce il Carlismo propriamente detto e, nel concreto, scoppia la prima delle guerre carliste (1833-1876).
Che sia ben chiaro: il nascente Carlismo travalica la questione di chi debba o meno sedersi sul trono di Madrid. Anzi, si direbbe che questo è più un buon pretesto per far valere posizioni proprie del conservatorismo intransigente. Dunque ritorniamo per un attimo al motto delle prime battute:
- Dios – Il Carlismo si fa scudo e promotore degli inviolabili precetti della Chiesa cattolica apostolica e romana in quanto principi fondamentali su cui fondare l’essenza del regno.
- Patria – In quanto ideologia patriottica e non nazionalista, il Carlismo considera la patria come ferrea unione dei congeniti particolarismi spagnoli (tanto nella loro veste municipale quanto in quella regionale).
- Fueros – Proprio perché rispettoso del corso storico iberico, il Carlismo riconosce il limite imposto dall’autogoverno locale al potere regio e di conseguenza statale (non tutti i carlisti però saranno d’accordo con la clausola dei fueros).
- Rey – Non esiste sovranità del popolo, in quanto il potere sovrano è esclusiva prerogativa del re, eletto da Dio e legittimo per sangue. Questo potere non si tramuta in assoluta coercizione perché, secondo il carlista, esistono dei corpi intermedi limitanti come la Chiesa, la consuetudine e le Cortes tradizionali.
Torniamo al corso degli eventi. Non bisogna commettere l’errore di analizzare la Spagna del primo Ottocento come un corpo a sé stante, sordo di fronte agli scossoni politici e istituzionali che paesi vicini, anzi, vicinissimi stavano vivendo. In Francia i moti del 1830-31 avevano fatto saltare il banco della Restaurazione. Con la Monarchia di Luglio il ramo primogenito dei Borbone salutava per sempre la corona francese. In Portogallo legittimisti e liberali se le davano di santa ragione, influenzando il già accesissimo dibattito politico spagnolo.
Brevemente accennerò al fattore economico, sì essenziale ma estremamente complesso per il caso spagnolo. Gli anni immediatamente precedenti alle guerre carliste avevano visto l’infuocare di una profonda crisi generalizzata. La Spagna nel giro di pochi anni aveva perso gran parte dei suoi domini in America ed era incorsa in una disastrosa bancarotta. Con la pressione fiscale in costante aumento, ampi strati della popolazione si sentirono in diritto e in dovere di ribellarsi. L’esperienza era da tempo “legittimata” dalle gloriose insurrezioni napoleoniche.
A ciò si aggiunga la maldestra gestione agrario-economica dei liberali. Nel loro triennio di fortuna (1820-23) non fecero altro che smantellare le vetuste strutture assistenzialistiche della Chiesa rimpiazzandole con il niente. La poca avvedutezza dei riformisti li rese avversi a molti contadini spagnoli, i quali, insoddisfatti, andarono a rinforzare le fila dei conservatori e dei carlisti. L’ostinato anticlericalismo dei progressisti (i quali erano una minoranza borghese in uno Stato non cattolico, ma cattolicissimo) diede ulteriore modo alle fazioni reazionarie di proliferare. Ciò accadde particolarmente nelle ampie aree rurali del paese.
Il conflitto tra Carlistas e Isabelinos (monarchici tradizionalisti antiliberali contro liberali, massoni, cattolici costituzionalisti e progressisti radicali) inizialmente arrise ai secondi. Isabella II di Borbone poté dunque regnare per circa più di un trentennio, non senza rigurgiti carlisti in diverse regioni spagnole. Vedasi i casi di Catalogna, Asturie, Navarra e in parte Paesi Baschi. Durante questi sussulti il Carlismo movimento affidava il proprio vessillo al discendente di don Carlos di turno. Toccò quindi ai figli e ai nipoti far valere la voce della reazione conservatrice, senza mai giungere a successi riconoscibili. Anzi, col tempo la causa carlista andò scemando, pur non morendo e anzi, ricomponendosi sotto la spinta franchista, ma qui sfociamo nel Novecento inoltrato.
Quel che mi premeva dire in tale sede era proprio questo. Ovvero come un movimento intransigente nei confronti del progressismo abbia, per gran parte del XIX secolo, plasmato la società spagnola (e in minima parte anche europea), irrigidendo ancor di più un dibattito politico accaldato. Avviandoci alla conclusione, è giusto ricordare come il Carlismo non fu solo una nota di colore della storia iberica otto-novecentesca. Esso fu invece l’ingranaggio organico di un pensiero – fattosi movimento – estremamente diffuso in Europa, che poi sfocerà in qualcosa di non dissimile negli ideali, ma diversissimo nei modi: il proto-nazionalismo.
Quindi, per provocare, mi vien quasi spontaneo chiedere: nella sua accezione più vasta, il Carlismo fu davvero una delle tante cause perdute?