Pirati e Mediterraneo non sono certo dei novelli sposi. Per millenni popoli dalle tendenze rapaci e predatorie hanno brulicato tra le acque del mare a noi caro. Pensiamo ai Lukka che per decenni misero in crisi le mire commerciali dell’Egitto del Nuovo Regno o, ad esempio, agli etruschi Thyrrenoi (da cui prende il nome il mare) che giunsero addirittura a catturare Gaio Giulio Cesare non lontano dall’isola di Rodi. Pronunciare il nome del Divus Iulius fornisce un assist perfetto per parlare del rapporto conflittuale tra la Repubblica romana e i suddetti pirati. Una conflittualità a cui il Senato volle porre rimedio, affidando l’incarico ad un validissimo generale: così andò in scena il “Bellum Piraticum“, la guerra piratica di Pompeo.
Di quegli eventi, rilevanti per l’equilibrio economico nonché politico della Res publica, ce ne parlano diversi autori, come Plutarco o il successivo Lucio Cassio Dione. In realtà la campagna del 67 a.C. contro i pirati del Mediterraneo orientale non era la prima né sarebbe stata l’ultima. Eppure quella condotta magistralmente da Gneo Pompeo Magno ebbe particolare risonanza, tanto per l’immediatezza del successo, quanto per la modalità strategica adottata per giungere alla schiacciante vittoria.
Ci si potrebbe chiedere il perché di un intervento del genere in una zona così vasta dell’intero scacchiere marino? Ebbene, la domanda troverebbe una soddisfacente risposta se ragionassimo sulla principale caratteristica dell’Egeo. Isole, tante, tantissime isole. Luoghi perfetti per le operazioni piratesche, arcipelaghi da poter sfruttare come covi e quindi come ripari facilmente difendibili. La maggior concentrazione di predoni si trovava proprio in quella zona lì, essenziale per i commerci romani con l’Asia minore e più in generale con l’Oriente. Urgeva una soluzione e quella soluzione era proprio Gneo Pompeo, già Magnus.
Geno Pompeo nacque nel 106 a.C. nell’antica Firmum Picenum (odierna Fermo) e crebbe in un contesto familiare nobiliare e facoltoso. Fu il più valoroso tra gli alleati di Silla, distinguendosi nella lotta interna contro Gaio Mario. Nel 77 a.C. frenò irrimediabilmente la rivolta fomentata da Marco Emilio Lepido e qualche anno dopo, in compagnia dell’amico/rivale Crasso, riuscì a reprimere nel sangue la ribellione di Spartaco. Queste vittorie, in aggiunta ad un carisma quasi senza eguali e ad un ingegno militare di tutto rispetto, fecero di Pompeo l’idolo del popolo romano. Divenne console nel 70 a.C. abrogando alcune delle scomode riforme sillane per poi ritirarsi (solo nella forma, mai nel concreto) dalla scena pubblica.
Nel 67 a.C. la legge emanata da Aulo Gabino, vecchio amico di Pompeo, mirava a contrastare la pirateria dannosa per l’approvvigionamento alimentare di Roma. Chi, se non Pompeo, poteva far rispettare tale provvedimento? Accettando l’incarico, egli si ritrovò al comando di una potenza bellica senza precedenti, con poteri eccezionali ad hoc. Le fonti come sempre non sono concordanti, tuttavia i numeri impressionano: 500 navi, 120.000 armati (30 legioni), più gli ausiliari navali di Rodi. Pompeo divise l’intero Mediterraneo in 15 distretti (forse 13, forse 16), delegando il comando militare ad ognuno dei suoi sottoposti. La decentralizzazione operativa fu il segreto del successo del “Bellum Piraticum“. Si comprese la fiducia che il mondo romano riponeva in quell’uomo dal solo fatto che il prezzo delle derrate alimentari (strettamente correlato alla guerra in corso) scese vertiginosamente quando la nomina di Pompeo al comando militare fu effettiva. Bastava pronunciare il suo nome.
In 40 giorni la migliore forza dispiegata dai pirati di tutto il Mediterraneo – dalle Colonne d’Ercole, passando per le coste della Cilicia, arrivando fino agli insediamenti della Bitinia nel Mar Nero – venne annientata dal coordinamento degli uomini di Pompeo Magno. Dopo il “Bellum Piraticum” sul mare nostrum tornò a volare l’aquila imperiale.