I posteri lo soprannominarono “l’irritabile” o “il folle” e, a ragion veduta, non è difficile capire perché. Soprattutto la follia, lo squilibrio comportamentale e l’irragionevolezza calzano a pennello con la figura di Ibrahim I (1615-1648), sultano dell’Impero Ottomano dal 1640 al 1648. Il suo essere inadeguato agli affari politici, uno spassionato amore per il personale harem composto da 280 donne e qualche feticcio non proprio accessibile hanno reso il regnante uno dei più memorabili della storia. Non nel senso buono, ovviamente.
Ibrahim I salì al trono succedendo suo fratello Murad IV; ciò accadde dopo aver trascorso un periodo della sua vita tra le sale del palazzo Topkapi, una sorta di prigione dorata riservata agli eredi al trono. Venuto a mancare il fratello maggiore, formalmente le redini dell’impero passarono nelle mani di Ibrahim. Eppure tra la teoria e la pratica delle volte c’è un abisso. Effettivamente a detenere potere decisionale era la madre del sultano, Kösem Sultan, e il visir (quest’ultimo nei primi 4 anni di regno).
Il visir impiegò anima e corpo per rendere Ibrahim un buon sovrano, purtroppo il reale 25enne aveva diversi problemi: oltre a quelli fisici – mancamenti continui e dolori lancinanti alla testa – si aggiungevano quelli comportamentali. Mamma Kösem incitò il figlio Ibrahim a non occuparsi di politica, piuttosto a trascorrere le sue giornate tra le donne dell’harem.
E così il sultano, ultimo erede maschio della dinastia, riuscì ben presto ad ottenere una prole non indifferente. 18 figli, che non sembrano neppure tanti viste le leggende sulla sua quotidiana attività sessuale. Nel frattempo la testa cominciava davvero a lasciarlo e la razionalità divenne un lontano ricordo. Egli concesse le più alte cariche a personaggi poco raccomandabili; fece la guerra con Venezia (perdendo) e avvicinò al collasso l’impero.
Massima espressione di questa follia, per l’appunto, fu un capriccio che Ibrahim volle accontentare, un capriccio che, manco a dirlo, aveva a che fare con la sfera intima. Nonostante le 280 concubine, il sultano non palesò mai piena soddisfazione, ricercando costantemente la donna dei suoi sogni, che corrispondesse idealmente al suo canone estetico. Ve la facciamo breve: Ibrahim I adorava le donne in stato di obesità. Così mandò degli “esploratori sultanali” in giro per tutto l’impero, alla ricerca della donna perfetta. Questa si fece trovare in una zona tra l’Armenia e la Georgia.
Sachir Para fu il suo nome, letteralmente “zolla di zucchero”. Ella ottenne addirittura un governatorato e, per saldare la posizione ottenuta, fece circolare delle voci calunnianti. Queste furono chiare e videro alcune donne dell’harem farsela con uno giannizzero. Ibrahim, rabbioso oltre misura, decise di punire l’intero corpo dell’harem. Come? Le amanti del sultano furono rinchiuse in dei sacchi zavorrati e gettate nel Bosforo. Tutte tranne la consorte reale e Sachir Para. Ibrahim I però non sopravvisse allo squilibrio venutosi a creare. Finì vittima di una congiura nel 1648, così come sua madre e le persone a lui vicine. Giustizia divina, come minimo.