Di Girsu e del suo Palazzo dei Re vi avevamo già parlato in passato, a testimonianza della rilevanza storico-culturale che un tale sito può rivestire, valore che accresce di anno in anno. Il merito è soprattutto di chi, in quella terra arida un tempo feconda, lavora giorno e notte alla costante ricerca di un passato nascosto, non del tutto perduto. In questo articolo daremo un’occhiata ai progressi archeologici compiuti negli ultimi tempi nell’ambito del “Progetto Girsu” nel sito dell’antica città sumera, corrispondente all’irachena Tello.
Iraq e Regno Unito, nelle vesti di facoltosi e intraprendenti archeologi, sono i protagonisti del cosiddetto “Tello/Ancient Girsu Project” (“Progetto Tello/Antica Girsu”). Il piano ha una doppia finalità: prima di tutto gli operatori del British Museum stanno cercando di formale al meglio i colleghi iracheni provenienti dal dipartimento “Iraq’s State Board of Antiquities and Heritage” e dalle Università irachene di Mosul, Hillah, Al Qadisiyah, Al Simawa e Dhi Qar nella gestione del patrimonio culturale di cui il paese è strabordante (ahinoi, maltenuto) e nelle attività pratiche sul campo. In secondo luogo, vi è nel Progetto Girsu un proposito strettamente scientifico: ovvero la volontà di approfondire alcuni aspetti della società sumera fin qui solamente dedotti, ma mai comprovati.
E la collaborazione, che ha raggiunto la sua massima resa tra 2016 e 2021 (prosegue ancora oggi, ma in modo sporadico), ha fruttato, eccome se l’ha fatto. Del Palazzo dei Re si è già detto in passato, quindi salteremo a piè pari la tematica. La città di Girsu, nata nella prima metà del III millennio a.C. avrebbe raggiunto il suo apogeo durante il periodo della Seconda Dinastia di Lagash (2230-2110 a.C. circa). Durante quel secolo, il centro mesopotamico si affranca dello status di capitale, divenendo una città sacra e sacralizzante per gli stessi Sumeri. L’alto calibro di Girsu però non era solo di tipo religioso, ma anche amministrativo.
Grazie agli scavi del 2021, i ricercatori del “Progetto Girsu” hanno rinvenuto i resti di quella che doveva essere un’antica cancellata. L’elemento divisorio era fiancheggiato da una coppia di torrioni e da spesse mura difensive. All’interno delle stesse mura è riaffiorata la scatola per il rito di fondazione del tempio. Purtroppo non è stata trovata la consueta statuina in rame (solitamente posta dentro il contenitore). Tuttavia gli archeologi hanno messo mano su un mattone di Gudea con iscrizioni. Quest’ultimo fungeva da chiusura. Tali scavi, condotti lungo il perimetro dell’antica città sumera, hanno convinto la maggior parte degli esperti su una questione fino ad oggi dibattuta.
Sembra che la zona appena citata fosse in realtà parte di un complesso sacrale più ampio. L’aggregato era dedicato ad Inanna, dea e Signora del Cielo per i Sumeri. Si sostiene come l’area fosse anche espressione del culto per Nanše, dea profetica della giustizia e della fertilità.
Nello stesso anno si è venuti a capo di una scoperta abbastanza “paradossale”. Sì, perché durante un periodo di stressante siccità, che ha colpito l’Iraq meridionale, gli archeologi del “Progetto Girsu” hanno posato per la prima volta i loro occhi su antichissimi canali d’irrigazione, datati intorno al V millennio a.C. Non sfugge la centralità della scoperta. Significa che al momento del primo sviluppo urbano, nell’area i Sumeri avevano già dato vita ad un complesso, intricato ed esteso sistema irrigatorio. Questione di step: prima l’assicurazione di un rifornimento idrico, poi la costruzione di una maestosa città, tesoro dell’eterna Mesopotamia.