12 giorni, 9 membri della spedizione sub-archeologica, 68 immersioni. Questi i freddi numeri dell’indagine sovvenzionata dal Ministero della Cultura canadese e condotta dagli esperti dell’Associazione Parks Canada, col fine ultimo di scovare nuovi reperti e segreti ancora sommersi nel relitto HMS Erebus. Nelle seguenti righe mi concentrerò prevalentemente sull’esito dell’operazione, conclusasi nel gennaio del 2024. Tuttavia ritengo sia necessario proporre qualche accenno sull’affascinante – quanto drammatica – storia della bombarda britannica affondata (in realtà abbandonata dall’equipaggio, causa incagliamento) nel 1848 nel tentativo di scoprire il famoso Passaggio a Nord-Ovest.
Quindi, non volendo spezzare la linea narrativa, togliamoci il dente ed affrontiamo il discorso storico, prima di spostare il focus su quello scientifico-archeologico. Il 19 maggio 1845 le navi HMS Erebus ed HMS Terror, sotto il comando del capitano Sir John Franklin, salparono dall’Inghilterra in direzione Canada. L’obiettivo era quello di tratteggiare l’ultima porzione, mai esplorata, del Passaggio a Nord-Ovest. La presunta tratta avrebbe garantito uno sbocco sul Pacifico, passando per il Mar Glaciale Artico. Le due imbarcazioni erano robuste, moderne e ben equipaggiate per il viaggio. Tuttavia rimasero incagliate tra i ghiacci all’altezza dello stretto di Vittoria, nell’arcipelago artico canadese.
I 128 membri dell’equipaggio, dopo mesi, se non anni, di resilienza contro il clima estremo, la fame, nonché la malattia, finirono chi per morire, chi per abbandonare le navi e tentare in extremis una traversata tra le lande inospitali e gelide, alla ricerca di aiuto. Nonostante una minima corrispondenza tra le fonti e qualche indizio sulla plausibile sopravvivenza di alcuni uomini, ad oggi nessuno sa che fine abbiano fatto quelle povere anime. Per tutto l’Ottocento proseguirono le operazioni di ricerca, vanamente tuttavia. In tal senso il 2014 risulta essere l’anno della svolta. Una spedizione del National Geographic si imbatte nel relitto della HMS Erebus, al largo dell’Isola di Re Guglielmo. Il sonar individua i resti dell’imbarcazione a 12 metri di profondità.
Seguono le prime immersioni perlustrative e con esse i primi accertamenti. L’HMS Erebus conserva dei reperti unici, che attestano l’identità della bombarda britannica classe Hecla. L’ultima di queste indagini sub-archeologiche si è svolta proprio nel gennaio di quest’anno. Gli uomini della spedizione hanno rinvenuto oggetti di svariato tipo: un regolo parallelo, un termometro intatto, una copertina in pelle di un libro. Oltre a ciò ha stupito il ritrovamento di una canna da pesca con mulinello placcato in ottone.
Non è finita qui, perché gli archeologi hanno svelato altri segreti sepolti e nascosti all’interno delle cabine. Ad esempio, in un ambiente del relitto sono venuti fuori dei resti fossili non meglio precisati. Furono gli ufficiali della HMS Erebus a raccoglierli durante il loro “soggiorno forzato” nello stretto di Vittoria, a testimonianza dell’attività quotidiana condotta da uomini consapevoli di un destino inevitabile. A riemergere, assieme ai fossili, anche scarpe, stivali, fiale di medicinali, pistole e monete.
Gli oggetti passeranno prima dal laboratorio, dove verrà approfondita l’analisi dei medesimi. L’idea è quella di esporre la totalità dei ritrovamenti presso l’istituto Nattilik Heritage Centre a Gjoa Haven, Nunavut (Canada).