Nell’immensa Siberia, precisamente nella regione circostante al fiume Enisej, vive un popolo dal trascorso pressoché ignoto. Loro sono i Ket e quest’oggi non solo vogliamo raccontarvi la loro storia (per quel poco che si conosce in merito), ma vogliamo rendervi partecipi delle peculiarità che una simile comunità coltiva fin dall’alba dei tempi.
Partiamo dall’etimologia: il termine Ket è abbastanza moderno, facente parte del linguaggio comune di questo piccolo gruppo etnico, e sta a significare “uomo” o “persona”. Nei secoli scorsi i Ket erano invece conosciuti come Ostyak – un termine di origine turca che indica l’estraneità, il forestiero. Ed è sfruttando l’assist di questa seconda informazione che si apre un ampio campo fatto di teorie dell’origine.
In passato i Ket erano intesi come “stranieri”. Ciò significa che sono giunti nella regione della Siberia centrale dopo un lungo viaggio, iniziato chissà dove. Gli studiosi oggi cercano di trovare una risposta con quel poco che hanno. Una delle ipotesi più suggestive vedrebbe i Ket direttamente imparentati con alcuni gruppi di nativi americani. Vero è che i test del DNA non hanno condotto ad esiti positivi in merito.
Avrebbe anche senso, se pensiamo alle migrazioni che hanno caratterizzato i due continenti (quello euroasiatico e quello americano) durante i periodi di glaciazione. Un popolo che vive tradizionalmente di caccia e pesca, che costruisce capanne di legno e che arrotonda le eventuali entrate con il commercio delle pelli potrebbe stupire per mille motivazioni diverse. In realtà ciò che lascia di stucco chi approccia a questa realtà e l’elemento linguistico.
Anche qui ci si muove nel campo delle ipotesi (parliamo pur sempre di un gruppo etnico composto da un migliaio di individui, seminomadi, dispersi nella Siberia centrale…) ma si è pensato a lungo che la lingua Ket fosse imparentata con tutte le altre dal ceppo incerto: esempi noti sono il basco e il barushaski indiano. Il parlato dei Ket è considerato perciò dalla comunità scientifica un “fossile linguistico vivente” – ma non per molto.
Nel XX secolo la popolazione autoctona era stabile nei numeri e manteneva ancora intatte le tradizioni. Ultimamente le cose sono cambiate e il declino diviene sempre più un’amara realtà con la quale bisogna fare i conti. La lingua sta scomparendo (pare che una sessantina di individui la parlino ancora) ed è questa una pessima notizia per chi volesse intraprendere degli studi su un popolo così enigmatico, affascinante, unico.