La Russia del governo provvisorio, a seguito dell’abdicazione dello Zar Nicola II, ancora impegnata sul fronte orientale contro tedeschi e austro-ungarici, deve lanciare un messaggio forte e chiaro alle sue demoralizzate truppe, massicciamente indebolite da numerosi casi di diserzione e fuga. Nel farlo, volge lo sguardo verso quelle donne che desiderano (da vedere fino a che punto…) ancora combattere in scenari drammatici come la Galizia o la Bucovina. Convergenza, questa, che portò alla formazione dei cosiddetti “Battaglioni Femminili della Morte” nel 1917.
Fu lo stesso Kerenskij, primo ministro russo, ad incaricare Marija Leont’evna Bočkarëva per la formazione dell’unità combattiva esclusivamente femminile. L’attuazione del compito non ricadde su una personalità qualunque. La Bočkarëva, soprannominata Jaška, era in trincea fin dalla prima mobilitazione nel 1914. Ci riuscì per concessione dello stesso Zar, passando i primi mesi della sua vita da soldatessa tra schernimenti e molestie sessuali. Jaška però aveva coraggio da vendere e lo dimostrò sul campo, guadagnando fama e medaglie. Ecco spiegata la scelta di Kerenskij.
Per entrare nel battaglioni fecero richiesta in 2.000 all’incirca, ma visto il rigido addestramento e il sacrificio richiesto, solo in 300 composero finalmente, nel giugno del 1917, il “1° Battaglione Femminile della Morte”. Sebbene la Russia fu l’unico stato belligerante, nel contesto della Prima Guerra Mondiale, ad avvalersi di un’unità combattiva composta da sole donne, c’è da sottolineare come la mossa del vertice provvisorio di Pietrogrado fosse quasi esclusivamente di marchio propagandistico. Fatto sta che Marija Bočkarëva e le sue unità parteciparono all’offensiva russa nella città di Smorgon’ (attuale Bielorussia), riportando, per quanto effimera, una vittoria.
Quel battaglione incarnò alla perfezione lo spirito combattivo di Jaška (tra l’altro fedele all’impero e allo Zar) e ne ripropose l’essenza all’interno di un contesto bellico disperato. L’esercito russo stava attraversando già da tempo una fase di smobilitazione spontanea, durante la quale la diserzione era all’ordine del giorno. Quando la Rivoluzione d’Ottobre travolse definitivamente i residui dell’antico sistema autocratico, il nuovo governo bolscevico congedò i Battaglioni Femminili della Morte. Ora, fonti accreditate dicono come la stessa Armata Rossa aprì le fila alla partecipazione militare femminile. Ciò accadde soprattutto durante la Guerra Civile (casi poco noti sono le donne-cecchino operative durante le battaglie sul Volga, sotto il comando generale di Stalin). Ma da qui a definirlo un fenomeno diffuso ce ne passa.
Se il battaglione di sole donne fece la fine che fece, che ne fu della Bočkarëva? In un primo momento i bolscevichi la utilizzarono come intermediaria per le trattative con le Armate Bianche (parlare al plurale, in questo caso, è quanto mai corretto, viste le anime differenti, per non dire pluricentriche del movimento controrivoluzionario). Ma dopo i primi ordini, i rossi incarcerarono la donna accusandola di sovversione. Solo un ex commilitone, al quale si dice avesse salvato la vita, poté liberarla.
Fuggì negli USA e poi nel Regno Unito. In ambo i momenti, incontrando il presidente Wilson e il re Giorgio V, ribadì la sua ferma volontà nel continuare la guerra contro la Germania. Il destino le riservò un piano diverso. Tornata in Russia, fu catturata di nuovo dai bolscevichi e nel 1920, dopo un processo farsa, accusata come “elemento rivoluzionario particolarmente accanito e incorreggibile“. La condanna a morte venne eseguita il 16 maggio 1920, nei pressi di Krasnojarsk. Ai posteri consegnerà “Yashka: My Life As Peasant, Exile, and Soldier“, ovvero le sue memorie, dettate durante il soggiorno newyorkese.