Aveva solo 52 anni quando, nella notte del 31 ottobre 1926, il prestigiatore, illusionista ed escapologo più grande di tutti i tempi si spense a causa di una peritonite. Si chiamava Erik Weisz, ma tutti lo conoscevano come il mago Houdini. Una vita spesa ad intrattenere e stupire, a scombussolare idee e sperimentare nuovi trucchi, ma anche ad affrontare crociate personali. Una su tutte: la lotta contro i medium.
Houdini non sopportava l’idea che lì fuori ci fossero persone capaci di lucrare sul dolore altrui, facendo false promesse, montando spettacolini dall’essenza beffarda e artificiale. Per questo motivo dedicò buona parte della sua vita a smentire i professatori dello spiritualismo, il movimento religioso nato nella prima metà del XIX secolo e che a seguito della Prima Guerra Mondiale prese piede in tutta Europa. Questo paventava un nesso duraturo tra il mondo dei vivi – svuotato dalla Grande Guerra – e quello dei morti, o per meglio dire, dei non vivi – rimpolpato dalla medesima causa.
Questa lotta si protrasse sotto molteplici aspetti. Addirittura pochi mesi prima della sua morte, Houdini prese parola al Congresso degli Stati Uniti d’America e richiese pubblicamente una legge che avrebbe criminalizzato la cartomanzia su commissione e “qualsiasi persona che fingesse di unire i separati”. Per stare certi dello scetticismo covato dall’illusionista di origini magiare, basti citare l’inizio di quel discorso pronunciato nella corte congressuale: “Questa cosa che chiamano Spiritualismo, in cui un medium comunica con i morti, è una frode dall’inizio alla fine”.
Come giustificare un astio così profondo? Non era lui forse un “ingannatore” delle masse? A prima vista sì, eppure vanno fatte delle doverose differenziazioni. Per Houdini i medium spiritualisti trasgredivano tanto l’etica quanto l’arte del mestiere di cui si faceva portabandiera. L’escapologo respingeva le meschine affermazioni secondo le quali egli stesso possedeva poteri soprannaturali. Preferiva l’etichetta di “misterioso intrattenitore”. Si faceva beffe di coloro che professavano doni psichici ma eseguivano i loro trucchi al buio, dove, come ulteriore insulto alla sua professione, “non è neppure necessario che il medium sia un abile prestigiatore”.
In virtù di ciò, lascia il sorriso stampato sapere ciò che accadde nel 1920. Harry Houdini fece la conoscenza, poi tramutatasi in sincera amicizia, di Arthur Conan Doyle. Lo scrittore scozzese, dalla penna del quale nacque il detective Sherlock Holmes, fu uno dei più accaniti sostenitori del movimento spiritualista. Soprannominato il “San Paolo dello spiritualismo”, Conan Doyle convinse Houdini a partecipare ad una seduta condotta dalla moglie dello scrittore, Jean, medium per definizione. La sensitiva scarabocchiò un messaggio in cinque pagine, presumibilmente proveniente dalla cara madre defunta di Houdini. Quest’ultimo concluse che Jean non era una vera medium. Sua madre, ebrea moglie di un rabbino, non avrebbe mai tracciato una croce su ogni pagina di un messaggio per suo figlio.
Per tutti gli anni ’20 e fino alla morte del prestigiatore, Houdini e Arthur Conan Doyle non se le mandarono a dire, rimpallandosi accuse e critiche di ogni genere. Negli stessi anni si amplificò il coro di dissenso nei confronti di Houdini, ormai da molti considerato alla stregua di un giudice inquisitore. Politici, medium, parte della borghesia, semplici cittadini, fecero tutti affidamento sulla portata comunicativa dei giornali per denunciare l’attivismo del prestigiatore natio di Budapest. Houdini poteva sfuggire a tutto tranne che alle critiche e alla morte. Questa lo colse dopo un inusuale incidente.
Uno studente abile nella box volle testare l’attendibilità dietro la leggenda sui muscoli d’acciaio di Houdini. Il ragazzo si presentò nei camerini dell’illusionista dopo uno spettacolo tenutosi a Montréal e gli sferrò più di un colpo (come la stragrande maggioranza delle persone erroneamente crede) all’addome. Normalmente Houdini permetteva questi test, ma i pugni dello studente lo colsero impreparato. L’episodio costò caro, perché la rottura dell’appendice portò il mago alla morte per peritonite due settimane dopo, il 31 ottobre 1926.
Prima di morire Houdini si era concordato con l’amata moglie Bess (Beatrice Rahner all’anagrafe); i due prestabilirono un codice segreto che l’eventuale spirito (di Bess o di Harry, chiaramente) avrebbe rivelato in caso di chiamata dal mondo dei vivi per tramite di un medium. Il codice in questione era “Rosabelle, believe”, traducibile in “Rosabelle, credi”, due parole legate ad una canzone della loro giovinezza.
Trascorsero dieci anni, dal 1926 al 1936, durante i quali annualmente, il giorno di Halloween, Bess convocò una seduta spiritica per contattare il defunto marito e ascoltare l’atteso codice. Incredibilmente nel 1929 un sensitivo di nome Arthur Ford riuscì a decifrarlo, ma non per vie paranormali, come poi dimostrato. L’uomo ricavò quelle due paroline magiche da una biografia di Houdini, dunque barò. L’ultima seduta, che parve più una festa in maschera che altro, ebbe luogo nel ’36. Un’ora di silenzio, ecco cosa ricavò Bess, la quale subito dopo spense la candela che da dieci anni teneva accesa vicino un quadretto di Houdini. Anni dopo disse: “dieci anni sono un periodo di attesa più che sufficiente per qualsiasi uomo”.