Il detto “non tutto il male viene per nuocere” assume i contorni della profezia se accostato alla vicenda di Herbert von Karajan. Parliamo di un direttore d’orchestra dalle qualità eccelse – secondo il parere degli esperti, egli si colloca tra i primi dieci di tutti i tempi – fine artista, uno di quelli che la musica ce l’aveva nel sangue. Eppure non sfuggono al giudizio comune alcuni dei suoi lati meno brillanti; l’arroganza, talvolta declinata in saccenteria, non lo faceva amare particolarmente ai suoi collaboratori. Altro punto grigio riguarda la sua affiliazione politica. Fervente sostenitore del nazionalsocialismo, Herbert, che nasceva austriaco, non nascose mai la sua aperta simpatia per gli ideali ultranazionalisti, chiaramente razzisti e prevaricatori propugnati dal suo connazionale in Germania. Ironia della sorte, sarà proprio il fallimento, vincolato al disappunto del Führer, a salvare von Karajan da una fine certa.
Alla vigilia del secondo conflitto mondiale, in un mondo sull’orlo del precipizio, nessuno, e ripeto, nessuno mai avrebbe potuto immaginare per Herbert von Karajan un prosieguo di carriera vacillante. La strada del successo era spianata per il direttore d’orchestra classe 1908, natio di Salisburgo, ma residente in Germania in pianta stabile dal 1929.
Con l’avvento del nazionalsocialismo, tanti colleghi di orientamento politico diverso avevano preferito l’inattività o l’esilio vero e proprio. Herbert von Karajan al contrario aderì al partito (in teoria dal 1933, tecnicamente dal 1935 perché fu solo in questo frangente che presentò formale domanda d’adesione). Il grande maestro godeva dell’appoggio dei più alti gerarchi tedeschi e per questo motivo le sue performance erano sempre partecipatissime.
E chi, se non lui, il più giovane Generalmusikdirektor (direttore d’orchestra generale) della storia teutonica, l’uomo in grado di tramutare il “perfetto ideale sinfonico” in “spiazzante concretezza” in quello che Goebbels definì “miracolo di Karajan”, poteva prendersi la scena nell’annuale festival di Bayreuth, ricorrenza atta a celebrare il genio e l’estro di un mostro sacro quale Richard Wagner fu. Il compositore che consegnò all’umanità perle del calibro di Tristano e Isotta o la Tetralogia era un idolo per il Führer e di conseguenza uno “strumento” del regime per veicolare messaggi a lui cari.
La mente dietro l’organizzazione del festival era quella di Winifred Wagner, nuora del maestro e intima amica del dittatore nazionalsocialista. La donna invitò molti compositori ad esibirsi nel sontuoso Festspielhaus di Bayreuth, vedendosi rispondere picche il più delle volte. Herbert von Karajan fu invece felice di accettare: l’occasione perfetta per consacrarsi agli occhi del regime totalitario e dei suoi alleati internazionali. Oltre agli alti papaveri nazionalsocialisti, presenziarono all’appuntamento i reali di Jugoslavia, re Pietro II Karađorđević e la regina Alessandra di Grecia.
È esattamente in questo punto della narrazione che gli aggettivi scelti in apertura, inerenti una presunta arroganza – per non chiamarla altezzosità tecnica e sfrontatezza professionale – trovano assoluta giustificazione. Per il festival del giugno 1939 Karajan decise di dirigere I Maestri Cantori di Norimberga senza partitura. Vi farà piacere sapere che questa specifica opera è una delle più lunghe e complesse del repertorio wagneriano: parliamo di una durata complessiva di quattro ore e mezzo. Giusto però sottolineare una cosa che altrove viene di frequente omessa quando si racconta questa storia: Karajan era abituato a dirigere a memoria.
Tornando in quell’atteso giugno 1939, devo mettere per un secondo le mani avanti per quanto riguarda lo svolgimento degli eventi. Le fonti che descrivono la performance di Karajan sono discordanti su alcuni punti, salvo concordare sull’esito fallimentare dell’esibizione. Per quanto riguarda la mia fonte di riferimento, mi sono affidato alla raccolta diaristica di Winifred Wagner, colei che a mio parere aveva meno interesse nel “distorcere” la realtà dei fatti. La signora Wagner sostiene come all’incirca a metà del concerto, il maestro Herbert von Karajan perse evidentemente il filo della direzione. La svista mandò nel panico l’orchestra, la quale smise di suonare in mancanza di indicazioni chiare. Secondo la Wagner, il sipario calò, evitando a Karajan un’ulteriore brutta figura. Secondo altre fonti vicine al regime, il meccanismo del sipario si inceppò, lasciando l’orchestra e il suo direttore in una scomoda ed imbarazzante situazione.
Il Führer si vergognò talmente tanto da intimare all’organizzatrice del festival: “Herr von Karajan non dirigerà mai a Bayreuth finché vivrò”. Così fu, anche se la carriera del maestro proseguì apparentemente senza problemi per almeno un biennio. Durante la guerra Karajan si esibì raccogliendo apprezzamenti alla Scala di Milano, al Teatro dell’Opera di Roma, ancora a Madrid, in Grecia e in Germania.
Karajan compromise definitivamente la sua reputazione agli occhi del leader nazionalsocialista quando nel 1942 sposò Anita Gütermann, di origini ebraiche. Quest’ultima non venne perseguita perché il compositore stringeva ancora rapporti amichevoli con personalità del calibro di Goebbels e Göring. Al termine della Seconda guerra mondiale, Karajan si stabilì a Milano e all’ombra della Madonnina vi rimase in condizione di semi-clandestinità. Tanto gli Alleati quanto gli forze precedentemente legate all’Asse gli stavano col fiato sul collo.
Alla fine un tribunale austriaco lo processò, graziandolo perché “non del tutto colluso con la struttura di potere nazionalsocialista”. In sua difesa accorsero due fattori: l’ammissione di essersi iscritto al partito per non danneggiare la carriera e, in seconda analisi, il fatto di essere caduto in disgrazia agli occhi del Führer. Sul primo punto si aprì nel secondo dopoguerra un dibattito accesissimo: fino a che punto poté considerarsi legittima la giustificazione? Sotto gli occhi di tutti erano le posizioni antisemite di Karajan, così come riecheggiava l’entusiasmo platealmente manifestato in occasione dell’Anschluss. Ma il fattore principale per l’assoluzione del tribunale fu l’allontanamento dal regime iniziato proprio da quel giugno 1939. Il fallimento lo graziò, per sempre.
La carriera del direttore d’orchestra austriaca riprese dopo le controversie giudiziarie immediatamente post-belliche. Ma in molti non vollero far finta di niente. Tanti musicisti, ebrei e non, preferirono non seguire la bacchetta di Karajan. Alcune tournée non riscontrarono il favore del pubblico; esempio eclatante è quello dell’uscita statunitense del 1955. Karajan alla guida dell’Orchestra Filarmonica di Berlino raccolse tanti fischi e disappunti (anche se la tournée fu un successo per la critica specialistica). Addirittura nel 1957 il maestro decise di affrontare il suo scomodo passato, con la classica superbia che lo contraddistingueva. Eseguì I Maestri Cantori di Norimberga ancora una volta senza partitura. A differenza del tentativo del 1939, questa volta gli andò bene.