Che ci piaccia o meno, la nostra civiltà è debitrice del sapere greco e romano. Temi come la cultura o la religione, così come politica, scrittura e arte sono oggi l’eredità di ciò che nacque in seno al mondo greco-romano. Spesso ignorato o poco approfondito risulta essere il lascito economico-bancario, un punto focale dell’antichità classica. L’Occidente medievale sembrò per un attimo (giusto qualche secolo) perdere questo sapere, salvo poi riagguantarlo, plasmandolo secondo nuove esigenze e opportunità. Gli Ateniesi furono gli antesignani di un primo, seppur rudimentale e non privo di falle, sistema bancario a partire dal V secolo a.C. Le sue spore inevitabilmente finirono per contagiare il mondo ellenistico (in particolar modo l’Egitto dei Tolomei). La Res publica Populi Romani avrebbe a sua volta adottato un simile sistema, modificandolo a seconda delle teorie monetarie vigenti. Insomma, banchieri d’altri tempi.
Negli anni intercorsi fra le guerre persiane (499 – 449 a.C.) e la guerra del Peloponneso (431 – 404 a.C.) Atene assunse lo status di regina tra le poleis greche. Il primato fu senz’altro di carattere militare, navale e, non ultimo, economico-commerciale. L’egemonia ateniese sull’Egeo passava per il controllo della Lega di Delo, alleanza tra città-stato elleniche in funzione anti persiana. I contraenti dell’alleanza versavano una somma di ricchezze in una sorta di “cassa comune” situata sull’isola di Delo. A tutti gli effetti si trattava di una tesoreria ma dalla molteplice identità (religiosa, statale e finanziaria). Riflesso di ciò, il fatto che questa cassa comune custodisse beni di ogni tipo, dalle monete e alle armi. Fu Pericle nel 454 a.C. ad intuire il potenziale dell’istituzione. Con una mossa degna solo di un fine statista – quale lui era – riuscì a spostare il tesoro della lega dall’isola di Delo ad Atene.
Pericle colse l’opportunità di rendere Atene non solo importante, ma imprescindibile per le economie di tutte le altre poleis. Se si voleva attingere in qualche modo dalla tesoreria, si doveva passare per Atene, nello specifico per il Partenone. Di fatto la città-stato votata alla dea Atena divenne il centro del sistema creditizio ellenico e lo rimase a lungo. Durante la guerra del Peloponneso, quella che chiamerei informalmente “banca di Atena” (concedetemi questa piccolissima licenza), gestita da un consiglio di tesorieri, permise alla città di finanziare le sue campagne. Tuttavia, il credito ateniese cominciò a vacillare quando i debiti aumentarono e la Lega del Peloponneso, sotto Sparta, riuscì a prevalere. Le mosse attuate dai banchieri di Atene fecero scuola e sopravvissero all’oblio del tempo. Qualcuno sulla sponda opposta del Mediterraneo prese appunti, riadattando il comprovato impianto bancario ateniese.
Senza andare troppo indietro nel tempo, ci basti sapere in questa sede che il concetto di sistema monetario non era sconosciuto all’Egitto dei faraoni. Quando si impose la dinastia ellenistica dei Tolomei, le idee greche su una gestione finanziaria ottimizzata finirono per influenzare i vertici dello stato tolemaico. Prendiamo come caso paradigmatico il regno di Tolomeo II (284 – 246 a.C.). Il sovrano passò alla storia per le tante opere pubbliche commissionate. Dal leggendario faro all’altrettanto famosa biblioteca alessandrina (che forse già esisteva), passando per il canale artificiale utile a collegare Mediterraneo e Mar Rosso. Progetti ambiziosi che richiesero avvedute politiche economico-finanziarie.
L’Egitto tolemaico si dotò a partire dal III secolo a.C. di istituti di credito sulla falsa riga del sistema bancario ateniese. Eppure li aggiornò, rendendoli originali sotto il punto di vista dell’amministrazione. Sotto Tolomeo II si sancì una distinzione tra banche statali e banche private:
- Le prime, recanti l’aggettivo “reali”, avevano sede nella capitale e rispondevano alle esigenze della provincia di riferimento (esistevano tante sedi ad Alessandria quante le province sotto la sovranità tolemaica).
- Le seconde di natura privata concedevano prestiti ad alto tasso dell’interesse – si stima si aggirasse intorno al 24% (Michel Chauveau, History and Society under the Ptolemies, Cornell University).
In contemporanea con i Tolomei in Egitto, Roma adattò le innovazioni greche alle specifiche esigenze dello stato repubblicano. A cavallo tra IV e III a.C. i Romani iniziarono a coniare monete secondo una “gerarchia” di conio. Quindi si ebbe il denario come moneta standard (in argento), poi il sesterzio (in bronzo), e infine monete per le piccolissime transazioni, per lo più in rame. Lo Stato comunque deteneva delle imponenti riserve auree.
Risulta quantomeno curioso il fatto che, nonostante alcuni facoltosi Romani fossero banchieri di mestiere, pochi di loro in età repubblicana finirono per vantarsi del loro status sociale. C’è una ragione alla base di questo apparente paradosso. Il popolo romano considerava genericamente i banchieri come degli umili lavoratori, paragonabili agli attori (che non godevano di chissà quale fama…). Le banche romane erano di due tipi: i faeneratores, che operavano come intermediari, e gli argentarii, che gestivano il denaro e i prestiti. Sebbene il sistema bancario romano fosse piuttosto avanzato, il prestito con interesse non era visto di buon occhio.
Altra curiosità riguarda il “come” questi prestiti venivano concessi. Sui registri bancari, di cui abbiamo per fortuna testimonianza materiale, si trovavano inscritti i nomi dei debitori. Dunque i vari creditori chiamavano i prestiti nomen o nomina in base all’identità di chi contraeva il debito.
Avviandoci a conclusione, è necessario rimarcare come i sistemi bancari greco e romano, per quanto evoluti ed innovativi, non poterono competere con quelli europei bassomedievali. Molte le discordanze, tantissime le criticità (dovute anche e soprattutto ad una non semplice reperibilità delle fonti). Eppure si può sostenere come i fondamenti del credito, del prestito, degli interessi e delle logiche monetarie siano concetti dalle antiche radici.