Sognando: in questo modo la scrittrice diciannovenne Mary Shelley giustificò l’ispirazione per la stesura del romanzo gotico, fantascientifico e neppure troppo velatamente horror “Frankenstein, o il moderno Prometeo“, pubblicato nel 1818. Pochi, tuttavia, sanno che quel sogno notturno con tutta probabilità fu a sua volta influenzato da particolari racconti quotidiani in casa Shelley. Questi narrati con una certa veemenza dal padre William, amico di un tale Giovanni Aldini, scienziato fortemente interessato all’elettricità animale, perciò agli impulsi elettrici in grado di stimolare la contrazione dei muscoli più disparati. Facciamo 2+2 e la storia del mostro di Frankenstein sobbalzerà alla mente dei più.
Andando un po’ oltre la descrizione wikipediana, proviamo a rintracciare i momenti salienti della vita del fisico, legittimando per quanto possibile l’appellativo di “Frankenstein italiano“. Il futuro come uomo di scienza per Aldini era scritto nelle stelle. Nipote del ben più noto Luigi Galvani, anch’egli fisico e anatomista bolognese tra i più importanti in seno alla comunità scientifica settecentesca, Giovanni Aldini proseguì gli studi dello zio sul galvanismo, approdando sui porti ancora parzialmente inesplorati dell’elettroterapia, di fatto anticipando di un secolo circa le metodiche elettroterapeutiche.
Semmai la differenza tra zio e nipote stava nel soggetto dell’esperimento. Galvani al massimo prendeva in prestito i corpi delle rane passate a miglior vita. Aldini, leggermente più intraprendente, maneggiava animali più grossi: buoi, maiali, fuorilegge decapitati o finiti con il collo nel cappio. Una nuova frontiera che attirò ben presto l’attenzione delle masse di curiosi. Gli spettacoli che Giovanni Aldini offriva erano sensazionali, con cadaveri animali apparentemente vivi (spasmi, oscillazioni oculari, ecc.) grazie ad impulsi elettrici ben assestati.
Ancor più facevano effetto gli esperimenti sulle teste mozzate di ex criminali. Gli elettrodi collegati a pile ad alto voltaggio applicati sulle tempie davano una parvenza di “luce vitale” a quei capi senza corpo. In assoluto, il test più noto fu quello condotto su George Foster, furfante londinese condannato all’impiccagione. Un corpo intero, con ancora del sangue fresco al suo posto? Figuratevi la gioia di Aldini che ebbe l’autorizzazione sul trattamento del cadavere…
L’esperienza empirica ebbe luogo in uno studio medico dimostrativo di Londra. Il fisico seguì la stessa sequela di accorgimenti tipici e dopo aver collegato gli ellettrodi accese la batteria. George Foster tremò, si mosse, qualcuno giurò di averlo visto sbiascicare con la bocca. Le contrazioni sembrarono il sintomo evidente della nuova vita; resuscitò quindi? No, perché dopo gli impulsi il corpo ricadde nell’eterna pace, con Aldini afflitto dal fallimento. Tra i presenti spettatori forse si trovava lo stesso William Godwin, padre di Mary Shelley, il quale avrebbe raccontato i dettagli di quello spettacolo raccapricciante durante una delle seguenti cene.
Non è assolutamente mia intenzione imputare alla vicenda la paternità del personaggio di Victor Frankenstein e del suo mostro, ma quel sogno forse non avrebbe avuto gli stessi contorni fantascientifici se Giovanni Aldini non avesse “traumatizzato” centinaia di interessati con i suoi esperimenti.