“Per esempio, supponiamo una cosa: Supponiamo che l’Europa formasse un solo Stato. Chi mai penserebbe a disturbarlo in casa sua? Chi mai si avviserebbe, io ve lo domando, turbare il riposo di questa sovrana del mondo? Ed in tale supposizione, non più eserciti, non più flotte, e gli immensi capitali, strappati quasi sempre ai bisogni ed alla miseria dei popoli per essere prodigati in servizio di sterminio, sarebbero convertiti invece a vantaggio del popolo in uno sviluppo colossale dell’industria, nel miglioramento delle strade, nella costruzione dei ponti, nello scavamento dei canali, nella fondazione di stabilimenti pubblici, e nell’erezione delle scuole. Esse torrebbero alla miseria ed all’ignoranza tante povere creature”. Giuseppe Garibaldi si esprime così sull’eventuale realizzazione degli Stati Uniti d’Europa dopo la Battaglia del Volturno, nell’ottobre del 1860.
Guerra e pace, pace e guerra, termini naturalmente antitetici. Non per l’eroe dei due mondi che anzi protende per una loro consequenzialità, seguendo lo stile di Tito Livio, per il quale la pace era il tempo della prosperità posteriore alla guerra. Garibaldi non fece mai segreto del significato che egli applicava al concetto di rivoluzione, istante di rottura ed emancipazione dei popoli. E se quel momento di svolta interessava nel XIX secolo alcune delle nazioni più importanti del Vecchio Continente, perché fermarsi? Perché non procedere con l’unione politica, militare, economica di quelle genti che tanto sangue avevano versato per liberarsi del giogo straniero? Domande del genere Giuseppe Garibaldi se le poneva, anche in pubblica piazza, come farà nel Congresso di pace di Ginevra nel 1867.
Tuttavia, per quanto la voce dell’eroe in camicia rossa fosse autorevole e degna di ascolto già allora, egli non fantasticava nulla di nuovo. Dai primi dell’Ottocento filosofi, economisti, politici, irredentisti e, restando sul generico, personaggi illustri, proposero questo piano unionista europeo. A casa nostra, Carlo Cattaneo dopo il 1848 milanese, sentenzierà: “avremo pace vera, quando avremo gli Stati Uniti d’Europa”. Le stesse idee si tramuteranno in parole e queste usciranno dalla bocca di Victor Hugo durante l’altro congresso per la pace, Parigi 1849. Il francese Charles Lemonnier, che in un suo saggio predica un futuro roseo per l’Europa riunita sotto “una costituzione federale dei popoli”.
Garibaldi rende proprie queste nozioni retoriche e le espleta a suo modo. Lo fa con cognizione di causa in diverse occasioni e in contesti non sempre favorevoli al suo modello di pensiero. Mentre combatte la Seconda Guerra d’Indipendenza (aprile-luglio 1859) ed è al comando dei volontari italiani in Romagna, il generale nizzardo scrive ad un amico inglese come lo solleticasse l’idea di una confederazione tra Inghilterra, Italia, Francia, Grecia, Spagna e Portogallo. L’avvenire europeo, per Garibaldi, doveva per forza di cose difendersi dalla “conservazione” – come egli stesso la definisce. Il riferimento è alle forze conservatrici e reazionarie che nascono nel cuore del continente (Papato e Austria) o che alle sue pendici ambiscono (Impero Ottomano). Il crollo di questi emblemi avrebbe comportato la realizzazione di un sogno europeo che dall’Atlantico toccava gli Urali.
Ancora nel luglio del 1862, durante l’ennesimo tentativo di scacciare il papa dall’Urbe, Garibaldi emana un proclama cristallino per intenzioni e significato. È nel nome dell’Europa che si libera Roma. Il condottiero padre dell’Italia unificata è ben lieto nell’accettare la presidenza onoraria del già citato Congresso di Pace di Ginevra, del ’67 appunto. In quella sede, perfetta per lui nel tentativo oratorio di demonizzare il Vaticano nonché il potere temporale di Pio IX, l’eroe dei due mondi si fa garante del nuovo ordine pacifista e democratico. Esso fa sentire all’intero globo la sua voce attraverso le pagine di un periodico dal nome abbastanza indicativo, ovvero “Gli Stati Uniti d’Europa“.
Con il trascorrere degli anni il pensiero di un continente unito amministrativamente non svanirà, anche se la sua realizzazione passerà dalla spada sguainata in segno di sfida all’oppressore alla punta di una penna sporca d’inchiostro. È il 1881, prima di spirare nella sua casa di Caprera, Giuseppe Garibaldi scrive così ad un deputato francese, suo fedele amico: “Ecco lo scopo che dobbiamo raggiungere (l’unione delle nazioni europee, senza mai sottometterne le ovvie differenze culturali n.d.r.); non più barriere, non più frontiere”. Il tema è figlio del suo tempo, fatto di sogni talvolta irrealizzabili e contraddizioni difficilmente difendibili. Ma credo fortemente nell’attualità di quelle parole pronunciate per la prima volta quasi due secoli fa.