Tutto si può dire della colta, ricca e sfarzosa al-Andalus, ma non che fosse un posto esente da moti popolari, guerre intestine e ribellioni spesso risolutive. Una delle più note avvenne nell’818 ed è conosciuta come “rivolta dell’Arrabal di Cordoba“. L’evento, se osservato da una prospettiva contenuta e circoscritta alla sola penisola iberica, non rappresentò chissà quale scossone per gli equilibri politici o militari locali. Al contrario, se lo si guarda attraverso un’ottica più estesa e quindi mediterranea, si comprende meglio la portata della questione. Questo però non è il momento delle conclusioni, su cui torneremo (naturalmente) alla fine.
La Cordoba dei primi decenni del IX secolo era una realtà senz’altro fiorente. A dimostrazione di ciò l’indubbia crescita demografica, che costrinse gli abitanti a stanziarsi fuori le mura di fattura romana. Il processo di carattere espansivo ebbe come immediata conseguenza il popolamento della riva sinistra del Guadalquivir, sulla quale si giungeva (e si giunge ancora oggi) attraversando un ponte romano a sedici arcate eretto nel I secolo a.C. Si radicò in quell’area un mix eterogeneo di persone provenienti dai più disparati angoli del Mediterraneo, professanti religioni talvolta diverse, di plurima estrazione sociale. Sulle cartine andaluse quel luogo era indicato come arrabal de Sequnda.
Un contesto vivace in cui trovavano la loro ragion d’essere mercanti ed artigiani, operai e contadini, nonché i faqī (che nella trasposizione castigliana prendono il nome di alfaquì). Su quest’ultimi è importante soffermarsi un secondo. Essi erano esperti di legge coranica, loquaci predicatori della sunna islamica, un prototipo di sapiente a metà tra il giurista e il teologo. Ora, c’è da dire come la stragrande maggioranza degli alfaquì in terra andalusa seguisse i precetti emanati da Malik ibn Anas, imam che dalla Mecca contribuì alla diffusione della dottrina che da lui prende il nome, per l’appunto detta “malikita”. A noi non interessa approfondire quest’ultima, quanto più sapere che dal 796, quando al potere salì l’emiro Al-Hakam, tutti i giuristi mailikiti – divenuti nel frattempo dotti uomini di stato e consiglieri a corte – caddero nella più totale disgrazia.
Indovinate in che area dell’emirato le prediche malikite, ora malviste, attecchirono maggiormente? Esatto, nell’Arrabal di Cordoba! Non si sa bene come, non si sa bene perché (le fonti sono piuttosto ambigue a riguardo) un soldato fedele all’emiro Al-Hakam litigò con un artigiano che non volle realizzargli una spada. Il litigio sfociò nel sangue, perché l’uomo in armi uccise l’umile lavoratore. Era la primavera dell’818, in concomitanza con il Ramadan scoppiò una violenta rivolta popolare. Chiunque abitasse nel sobborgo imbracciò armi ed arnesi di fortuna, con l’unico intento di assaltare il palazzo reale (l’alcazar). Il vento della ribellione soffiò anche in altri quartieri cittadini, i quali non mancarono di rispondere alla chiamata.
Sbaragliate le poche difese fuori le mura, i popolani assediarono la residenza dell’emiro. Uno dei consiglieri partorì un’idea abbastanza buona da tramutarsi in azione istantanea: far uscire un reparto di cavalleria da un punto sicuro e risolvere la situazione con l’unico mezzo disponibile: la parola… No, scherzo, la violenza. I cavalieri passarono alle spalle dei riottosi, penetrando nell’Arrabal senza problemi. Appiccarono il fuoco ove possibile, bruciando abitazioni e botteghe. Il fumo attirò l’attenzione della povera gente, la quale si rese conto dell’accerchiamento quando oramai era troppo tardi. Bloccata sul ponte, questa andò contro il massacro. Il sangue sgorgò per giorni, fin quando la stanchezza dei soldati e le suppliche dei malcapitati convinsero l’emiro a fermarsi. Non prima di crocifiggere a testa in giù i capi della sommossa (le fonti stimano trecento uomini).
Al-Hakam rase al suolo l’Arrabal, ordinando l’espulsione di tutti gli abitanti. Costoro fuggirono: chi nell’odierno Marocco, chi ad Alessandria d’Egitto o presso Creta. Gli ultimi due casi presentano delle peculiarità con le quali voglio lasciarvi. Gli esuli andalusi governarono la città sul Delta del Nilo per qualche anno, salvo poi essere espulsi nuovamente dal califfo. Durante la seconda metà del IX secolo gli ex sudditi dell’emirato di Cordoba occuparono Creta, stabilendo in loco le loro basi piratesche e commerciali. Costantinopoli si riapproprierà dell’isola solo nel 961. I restanti cordovani si integrarono nel contesto isolano, convertendosi al cristianesimo e ponendo definitivamente le loro radici.