Fotografia di Albert Winkler, monte Eiger, Svizzera, 11 agosto 1957. I soccorsi alpini intervengono prontamente per salvare l’italiano Claudio Corti, unico sopravvissuto al dramma dell’Eiger. Doveva essere un agosto glorioso per il duo lecchese Claudio Corti e Stefano Longhi. Gli scalatori avrebbero tentato l’ascesa della temibile e leggendaria parete nord del monte Eiger, sulle Alpi bernesi. Quasi 4.000 metri sul livello del mare; 1.600 metri della parete nord prevalentemente in verticale. Il confine tra l’avventura e la disgrazia in questi casi è labile. La coppia Corti-Longhi l’avrebbe sperimentato sulla propria pelle.
In realtà si trattava di una “seconda volta”, perché già una cordata italiana aveva azzardato l’impresa nel 1938. Non finì bene, con gli alpinisti Bortolo Sandri e Mario Menti, originari di Valdagno (Vicenza), che persero la vita. Purtroppo non furono gli unici, perché l’Eiger dagli anni ’30 del XX secolo aveva causato la scomparsa di tanti audaci, forse anche troppi. Claudio Corti e Stefano Longhi però si sentivano in dovere di riprovarci e così partirono nei primi d’agosto del 1957. Poco pratica della zona, la coppia sbagliò gli attacchi e proseguì lentamente la prima parte della scalata. Dopo tre giorni di complicanze e intoppi, una cordata tedesca composta da Franz Mayer e Gunther Nothdurft raggiunse i due italiani. Di comune accordo, si decise di tentare la scalata assieme.
L’unione non fece del tutto la forza. Si mise di traverso il tempo, che peggiorò sensibilmente rallentando le operazioni del gruppo. Dopo otto giorni sulla parete nord, Stefano Longhi dovette fermarsi obbligatoriamente: le mani congelate non gli permettevano di proseguire. Corti e il duo teutonico optarono per la soluzione più pratica: lasciare indietro Longhi, poggiato su una cengia esposta, con le dovute provviste e una tenda da bivacco. I tre avrebbero proseguito in un’unica cordata – con Corti al vertice – fino alla cima di quella montagna maledetta. Una volta arrivati, avrebbero chiamato i soccorsi per il compagno ferito. Purtroppo non si andò avanti per chissà quanto, perché una sbriciolata di massi cadde sulla testa di Claudio Corti. Si fece con lui quello che si era fatto con il primo.
Mayer e Nothdurft raggiunsero la vetta lo stesso giorno. Al contempo gli osservatori del rifugio della Kleine Scheidegg tennero sott’occhio le azioni della cordata italo-tedesca. Notando i vari rallentamenti e il momentaneo abbandono dei due alpinisti, organizzarono un’operazione di salvataggio. Viste le ardue contingenze, si formò un equipe di soccorso di tutto rispetto, grazie alla partecipazione di alcuni degli operatori più qualificati del Vecchio Continente. Tra questi si citino Riccardo Cassin e Lionel Terray. Il team di soccorso raggiunse la vetta per via normale, non incontrando tuttavia il duo tedesco. Sembravano come dissolti nel vento. Sul momento l’obiettivo era un altro: salvare Longhi e Corti, dei quali si conosceva la posizione esatta.
L’11 agosto finalmente avvenne il salvataggio… O il presunto tale. I soccorsi arrivarono in tempo per Corti (con un’operazione spettacolare eseguita da Alfred Hellepart, appeso per 320 metri ad un cavo d’acciaio collegato ad un intricato sistema di carrucole situato a monte). Tratto in salvo l’alpinista di Lecco, doveva essere soccorso il secondo. Il maltempo tornò a farsi sentire prepotentemente, impedendo alla squadra di raggiungere Longhi. Quest’ultimo morì il giorno dopo, assiderato. Per due anni non si riuscì a recuperare il suo corpo, a causa dei mille impedimenti che la parete nord dell’Eiger riservava.
Che ne fu dei tedeschi Mayer e Nothdurft? L’ultimo tassello di una vicenda già tragica di per sé, rese, se vogliamo, ancor più amaro l’intero quadro. La cordata, come anticipato, raggiunse la vetta, salvo poi tentare la discesa per via normale verso la valle. Un fallimento fatale, dal momento che i soccorsi nel 1961 trovarono i corpi fino ad allora dispersi poco più giù. Forse morirono travolti da una valanga, forse l’esaurimento delle forze congiunto a delle condizioni climatiche estreme causarono l’inevitabile.
Il dramma dell’Eiger, come molti presero a chiamare l’accaduto dell’agosto 1957, toccò nel profondo l’opinione pubblica, tanto nello Stivale, quanto all’estero. Accuse indecenti vennero rivolte verso Claudio Corti, unico sopravvissuto della scalata. Voci diffamanti e giudizi affrettati piovvero sul capo del povero alpinista che sì, non sarà stato il più avveduto e prudente possibile, ma di certo non poté ritenersi responsabile materiale della morte dei tre colleghi. Di quella tragedia oggi rimangono varie testimonianze, letterarie, giornalistiche, televisive e fotografiche. Ecco, io ho voluto ricordare quell’amara esperienza con una foto tutt’altro che deprimente e dolorosa. Uno scatto che ancora oggi, a distanza di decenni, grida vitalità, quella di chi tenta l’impossibile tramutandolo in possibile.