Fotografie di Georg Gerster, Abu Simbel, Egitto, 1966-68. Gamal Abd el-Nasser, ancora primo ministro nel 1955 (Presidente dell’Egitto dall’anno dopo), annunciò al suo popolo e al mondo intero il piano per la realizzazione di un’opera ingegneristica di proporzioni titaniche: la costruzione della diga di Assuan. L’opera avrebbe comportato l’inondazione della valle sottostante la diga. Peccato che quell’area, immersa nella regione nubiana, fosse la residenza plurimillenaria di alcune delle strutture più suggestive e maestose che l’intero paese potesse vantare. Iniziò in quel momento una corsa contro il tempo per evitare che i templi di Abu Simbel finissero sotto le acque del lago artificiale voluto da Nasser. Queste furono le premesse per un trasloco senza precedenti, reso possibile dall’impegno di uomini, mezzi e fondi provenienti da ben 113 paesi diversi.
L’opera di salvataggio prese ufficialmente avvio con un campagna UNESCO nel 1960. Tra gli edifici dall’inestimabile valore storico, due in particolare facevano grattare il capo ad ingegneri e specialisti vari. Situati in prossimità del Nilo, i templi di Ramses II e di sua moglie, la regina Nefertari, rappresentavano una sfida quasi insormontabile in termini logistici, finanziari, ingegneristici e più prettamente realizzativi (ad esempio esistevano notevoli divergenze tra i responsabili dell’operazione per quanto riguardava modalità e tempistiche del lavoro).
Dopo tre anni di pianificazioni e progettazioni varie, nel 1963 si decise di sezionare le ciclopiche statue in più di mille blocchi. Questi sarebbero stati ricomposti su un altopiano 65 metri più in alto. Detta così sembra roba di poco conto, ma nell’atto pratico era qualcosa di mai visto prima. Tonnellate e tonnellate di terra smossa, un viavai infinito di camion e macchinari, un mix eterogeneo di professionalità impegnate nello stesso obiettivo.
Sorse sul posto una cittadella fornita di ogni servizio e comodità per i lavoratori. Addirittura si ricorse alla costruzione di una piccola centrale elettrica e di un sistema viario ex novo per velocizzare gli spostamenti. Un totale di 3.000 operai partecipò ai lavori di trasloco. Finalmente nell’aprile del 1966, due mesi prima dell’inondazione, terminò la titanica impresa. L’inaugurazione dei due nuovi complessi templari avvenne solamente due anni più tardi. Testimone diretto di quel grandioso evento fu il fotografo Georg Gerster, che con la sua macchina fotografica aveva immortalato diversi memorabili istanti dell’intera vicenda.
Risalgono al settembre del ’66 le acute osservazioni di Gerster dinnanzi al collocamento della testa di Ramses II sulle gigantesche spalle della statua: “La cerimonia aveva tutta l’aria di una processione trionfale. Un rimorchio ha trasportato il gigantesco volto di arenaria a passo di lumaca fino alla nuova sede, sotto lo sguardo attento di 1.500 persone che lavoravano nel sito. Quando la testa è arrivata al grande tempio, una gru l’ha sollevata delicatamente dal suo cuscino di sabbia tramite le barre di ancoraggio precedentemente installate. Lentamente quel volto di 21 tonnellate si è innalzato al di sopra degli spettatori, è ruotato un attimo verso gli altri due colossi. Quindi è stato collocato al suo posto. È stato il punto culminante della fase di ricostruzione”.
Mai come in quel caso fu azzeccatissimo l’aggettivo “faraonico” per descrivere l’opera di trasloco dei templi di Abu Simbel. L’ex direttore del Servizio egiziano dei monumenti nubiani si esprimeva così: “Avevamo salvato il gioiello dei tesori della Nubia. Il monumento più grandioso mai scolpito nella roccia, esaudendo in questo modo il sogno del faraone Ramses di rendere il suo tempio immortale”.