Fotografia di Stanley Greene, Casa Bianca di Mosca, 4 ottobre 1993. In tenuta mimetica Aleksandr Ruckoj, leader ribelle ed ex vicepresidente russo, attende in compagnia della sua guardia del copro la fine dell’assedio alla Casa Bianca russa, posto in essere dall’esercito per ordine del presidente Boris El’cin.
La memorabile fotografia è emblematica della crisi di quei giorni, nota al grande pubblico come “Crisi costituzionale russa del 1993“. L’inquietudine che si respirò in Russia durante i primi giorni di ottobre, traeva origine dal decreto 1.400 del 21 settembre 1993. Con il medesimo El’cin sopprimeva ufficialmente il Soviet Supremo (già svuotato dei suoi poteri), contravvenendo alla Carta Costituzionale che lui stesso aveva contribuito a modificare tra il 1989 e il 1993. L’articolo 121 infatti stabiliva: “I poteri del Presidente della Federazione Russa non possono essere utilizzati per modificare l’organizzazione nazionale e statale della Federazione Russa, per sciogliere o per interferire con il funzionamento di qualsiasi organo eletto del potere statale. In questo caso, i suoi poteri cessano immediatamente”.
La crisi del ’93 fu una sostanziale resa dei conti fra El’cin ed il Soviet Supremo. Il decreto del 21 settembre andava anche a sciogliere l’altra camera del parlamento: il Congresso dei deputati del popolo. Il parlamento non se ne stette con le mani in mano e rispose a modo, dichiarando inaccettabile ed inattuabile il provvedimento presidenziale. In secondo luogo mise sotto accusa diretta la più alta carica della Federazione Russa. Di che paese stiamo parlando? La Russia post-sovietica era un paese in recessione economica, in cui il credito residuo non riusciva a sostenere l’ingente peso del settore industriale. Conseguentemente innumerevoli fabbriche chiusero, lasciando a casa centinaia di migliaia di lavoratori.
Il programma di riforme approvato nel ’92 a firma El’cin da una parte aveva decurtato la spesa pubblica, dall’altra si era tradotto in una crescita incontrollata dei prezzi, coadiuvata dall’innalzamento delle tasse. Tanti politici, tra la maggioranza e l’opposizione, presero le distanze da quel programma e dalla volontà del presidente. Tra i più accesi obiettori vi era Aleksandr Ruckoj, niente meno che il vicepresidente. Egli arrivò a sostenere come il programma di El’cin fosse un “genocidio economico” senza eguali nella storia russa. La pensavano allo stesso modo i leader politici delle repubbliche ricche di petrolio. Non a caso il Tatarstan e la Baškiria chiesero la piena indipendenza dalla Russia.
Disordini per le strade di Mosca si verificarono già dal 28 settembre. Ma fu in ottobre che scoppiò il caos. I sostenitori della Duma, capeggiati da Ruckoj, nominarono quest’ultimo presidente ad interim. Tra il 2 e il 3 ottobre i cosiddetti “parlamentari” si barricarono all’interno della Casa Bianca di Mosca. Ruckoj incoraggiò i suoi (paramilitari fedeli al parlamento e alcune unità dell’esercito) a difendere con la vita il perimetro dell’edificio e, se possibile, ad assaltare i centri del potere presidenziale. Falliti gli assalti pro-parlamento al Cremlino e alla torre radio di Ostankino, El’cin dichiarò lo stato d’emergenza e convinse l’esercito ad intervenire.
I giorni che andarono dal 2 al 4 ottobre risultarono decisivi. Rotto il cordone periferico, i carri armati prima circondarono la Casa Bianca e poi spararono sulla sezione superiore dell’edificio (volendo spaventare i cecchini appostati nei piani alti). Durante la mattinata del 4 ottobre, Ruckoj chiese vanamente più volte l’intervento dell’aeronautica militare. Questo mentre le truppe speciali Vympel e Alpha entravano nell’edificio occupandolo piano per piano. La rassegnazione, ecco cosa traspira dalla fotografia che in quelle ore Stanley Greene scattò al leader ribelle e alla sua guardia del corpo. Una sottomissione al corso degli eventi che si può captare da alcuni dettagli come la birra sorseggiata amaramente (o con distacco) dalla guardia del corpo, dalla posizione dismessa assunta da Ruckoj, dal suo sguardo mentre si sente rifiutare l’appello alla resistenza ad oltranza.
La crisi rientrò con un rafforzamento della posizione di El’cin (e della figura del presidente della federazione, ancora oggi erede di quelle scelte) e l’ulteriore soppressione dei dissensi interni. Che ne fu di Ruckoj? Prigionia sino ai primi del ’94, ammissione di colpa, amnistia parlamentare e incarico come governatore dell’Oblast di Kursk.