Fotografia di Jean François Heckel, World Trade Center di New York, 7 agosto 1974. Il funambolo francese Philippe Petit cammina su un cavo sospeso a 400 metri d’altezza, legato ai cornicioni delle Torri Gemelle. L’impresa attira l’attenzione mediatica di mezzo mondo, oltre a quella delle guardie, accorse troppo tardi per impedire la realizzazione della medesima. Arrestato alla fine dell’ultima delle otto traversate, Petit verrà rilasciato dalla polizia distrettuale ad una sola condizione: si sarebbe esibito per i bambini a Central Park.
Tra le decine di fotografie scattate dal duo di collaboratori composto da Jean François Heckel e Jean-Louis Blondeau, è un’istantanea del primo a passare alla storia. Nella fotografia, che potete ammirare qui sopra, l’artista originario di Nemours passeggia come se tra lui e il suolo non vi fosse quasi mezzo chilometro di distanza. La leggerezza è disarmante, scrutabile dalla postura di Petit, dalla sua espressione concentrata ma serena. Finalmente sta realizzando il suo più grande sogno, concretizzatosi dopo mesi di preparativi, simulazioni, inganni alla sicurezza e condotte al limite della legalità. Negli occhi di quell’uomo in veste nera si può scorgere esattamente questo: la consapevolezza di star scrivendo una pagina di storia contemporanea passeggiando da un lato all’altro delle torri del World Trade Center, centro del mondo che più centro non si può.
Venuto alla luce 25 anni prima, quindi nel 1949, un ancora fanciullo Philippe mise subito le cose in chiaro: lui avrebbe fatto il mago, all’occorrenza il prestigiatore o il giocoliere. Un sogno ardito, al quale dedicherà corpo e anima fino ai 16 anni. L’adolescenza porta con sé una nuova passione oltre a quelle più “ordinarie” quali il teatro, la pittura, la scherma e l’equitazione. L’ultimo interesse prevede che il ragazzino, già artista di strada comunemente apprezzato, tenda un filo da un estremo all’altro (due alberi il più delle volte) e vi cammini sopra, tenendo tra le mani un’asta per l’equilibrio. Così si forma il Philippe Petit funambolo autodidatta. C’è un’altra cosa che l’adolescenza consegna al ragazzaccio dell’Île-de-France: il gusto nel burlarsi della gendarmeria, dalla quale spesso fugge sulla sella del suo iconico monociclo (venendo comunque arrestato all’incirca 500 volte!).
La scuola non fa per lui, ad appena 18 anni l’abbandona. Altrettanto degno di nota è il suo hobby più “problematico”. Sì, perché Petit è un ladro professionista, pur consegnando la refurtiva al termine di ogni colpo. Il brividio dell’infrazione lo fa sentire vivo, non quanto camminare sospeso nel vuoto. Nel 1971 inizia a farsi conoscere davvero. Sotto la cattedrale di Notre-Dame una folta folla osserva col naso all’insù un omino fare avanti e indietro su un cavo fissato sui campanili dell’edificio. Non serve che vi dica che quel temerario risponde al nome di Philippe Petit. Ripete la prodezza due anni più tardi, ma in Australia, esattamente sull’Harbor Bridge di Sydney. Un sognatore non si pone limiti, ma obiettivi sempre più audaci. Da quando ha 17 anni Philippe deve fare i conti con un chiodo fisso per la testa: il World Trade Center di New York.
L’irresistibile esigenza incontra il favore del destino. Nell’aprile del ’73 aprono ufficialmente al pubblico le nuove (e subito snobbate) Twin Towers. Sono perfette per il piano del funambolo transalpino, il quale si reca nella Grande Mela al termine di quell’anno. Per quanto non lo si possa immaginare, Petit è un accanito calcolatore. Non lascia nulla al caso, ogni singolo dettaglio, anche il più piccolo, è essenziale. Si spaccia prima come giornalista, poi come addetto alla sicurezza per salire fin sopra le torri. I sopralluoghi gli servono per stabilire parametri come la forza del vento, la pendenza, la tensione del cavo, la fattibilità dell’impresa. Arriva persino ad affittare un elicottero dal quale scattare fotografie aeree per meglio studiare, ed eventualmente perfezionare, la realizzazione del piano.
Alle 7:15 del 7 agosto 1974 è tutto pronto. I 60 metri di filo d’acciaio vengono percorsi 8 volte, senza protezioni. Petit tra una serie e l’altra si sdraia, gioca con l’asta, saluta chi da giù sembra essersi reso conto dell’insano momento. Il resto della storia lo conosciamo, ma vorrei concludere con una frase del diretto interessato, pronunciata durante un’intervista a Le Figaro: “Una traversata sul filo è una metafora della vita. C’è un inizio, una fine, un progresso, e se si fa un passo di lato, si muore. Il funambolo avvicina le cose destinate a restare lontane, è la sua dimensione mistica”.
P.S. Consigliatissimo The Walk, film del 2015 diretto da Robert Zemeckis inerente l’impresa di Petit.