Fotografia di anonimo, Savannah (Georgia), 1975. L’ex istruttore militare e reduce del Vietnam Leonard Matlovich posa seduto mentre tiene stretta tra le mani la rivista del Time magazine. Sulla copertina spicca una sua fotografia, affiancata dall’emblematica didascalia “I am a Homosexual” ovvero “Sono omosessuale”. Matlovich fu il primo soldato americano a dichiarare esplicitamente il suo orientamento sessuale, generando ottuse e sconclusionate polemiche. Quella società statunitense – di cui la nostra fu un riflesso incondizionato – era la medesima in cui si era premiati per uccidere e puniti per amare.
Non è mia consuetudine dare maggiormente risalto alla storia del soggetto fotografato anziché al significato sostanziale dello scatto stesso. Oggi però faccio una doverosa eccezione. Pur soffermandomi nelle battute finali sulla fotografia del 1975, preferirei utilizzare l’immagine come pretesto iniziale per raccontarvi una storia importante, fondamentale anzi, quella di Leonard Philip Matlovich.
Egli nasce nel 1943 a Savannah, una piccola cittadina della Georgia, nel sud degli States. La sua famiglia gli impartisce una rigida educazione, composta per lo più da precetti religiosi ed inflessibili norme comportamentali. A soli 19 anni, per seguire le orme paterne, si arruola nell’USAF (United States Air Force), ovvero nell’aeronautica militare, e finisce in quell’inferno chiamato Vietnam. Non senza rischiare la pelle, si distingue per azioni eroiche e coraggiose, ricevendo due medaglie: la Bronze Star per aver ucciso due vietcong e la Purple Heart per essere incappato in una mina, a causa della quale riportò diverse ferite.
Nei primi anni ’70 Leonard è di stanza in Florida, dove opera come istruttore militare. Ha 30 anni e per la prima volta inizia ad intuire il suo vero orientamento sessuale. Frequenta bar gay nella città di Pensacola e l’esperienza in qualche modo lo stravolge. Perché constata l’effettiva “normalità” di quelle persone, rese mostruose e lontane dalla grazia di Dio dall’educazione religiosa e, forse ancor di più, dal rigoroso codice militare non scritto. Tuttavia questi due influssi continuano ad avere una certa presa sulla personalità di Matlovich, che per il momento mantiene il massimo riserbo.
Per lavoro si ritrova a viaggiare in lungo e in largo per il continente. Ancora una volta comprende quanto sia oppressiva la discriminazione nei confronti degli omosessuali, quanto questa danneggi irrimediabilmente persone che non hanno nessuna colpa se non quella di amare. Ma il verbo “amare” era (ed è, in parte) incatenato da logiche intransigenti, austere, univoche. La svolta avviene nel 1974. Matlovich incontra Frank Kameny, attivista di spicco per i diritti della comunità gay negli USA. Kameny, allora presidente della Mattachine Society (organizzazione nata a Los Angeles a difesa dei diritti degli omosessuali), è alla ricerca di un caso in grado di denudare e, possibilmente, scardinare la messa al bando della libertà sessuale da parte dell’istituzione militare statunitense.
Altra data da tenere in mente è il 6 marzo 1975, quando Leonard recapita all’ufficio dell’Air Force Base di Langley, in Virginia, una lettera estremamente esplicita. Il contenuto della medesima è eloquente: Leonard Philip Matlovich è un uomo americano, reduce di guerra in Vietnam, due volte decorato, dichiaratamente omosessuale. Il caso non scoppia subito, non è nell’interesse delle forze armate. Al contrario è nell’interesse della rivista Time, la quale viene a sapere della missiva spinosa e non perde tempo nel contattare l’istruttore militare, proponendogli una collaborazione. Da questa nasce la fotografia sopra presentata, divenuta popolare dopo l’uscita del succitato numero in data 8 ottobre 1975. L’opinione pubblica adesso sa e Matlovich diventa un simbolo per il movimento promotore dei diritti degli omosessuali.
La reazione (nel senso lato del termine) non tarda a manifestarsi. L’USAF non ci sta e minaccia di perseguire legalmente Leondard. Lo shock dei genitori non è da meno e persino la chiesa mormone, con la quale Matlovich si era legato negli ultimi anni, fa stampare le carte necessarie per la procedura di scomunica. Per il bene di tutte le parti in gioco – pensa l’aeronautica – si può giungere ad un accordo: l’USAF dichiarerà il comportamento dell’istruttore militare “non gravemente sconveniente” e gli concederà la permanenza nelle forze armate solo se ed esclusivamente se il diretto interessato giurerà e sottoscriverà di “non praticare mai più l’omosessualità”. Il rifiuto di Leonard Matlovich è come una detonazione mediatica di immense proporzioni. È anche il preludio di una lunga stagione di cause, accuse, difese, tribunali e sentenze. Questa si conclude nel 1980, con la vittoria di Matlovich.
Pur senza rientrare nell’aeronautica, accetta il congedo con onore più tutti gli stipendi arretrati e i bonus detratti. Inoltre fa fare una brutta figura allo Stato Maggiore, il quale non è incline ad abbandonare la linea retrograda. Pensate che non lo sarà ancora nel 1993, quando varerà la cosiddetta normativa “Don’t ask, don’t tell”, letteralmente “non chiedere, non dire”. Con la direttiva si vieterà l’indagine sull’orientamento sessuale degli arruolati. Non verrà presa una posizione netta contro l’omofobia e la discriminazione in generale.
Nel 1987 Matlovich annuncia pubblicamente di essere malato di AIDS. La degenerazione del virus HIV porta alla morte l’attivista americano l’anno successivo, nel giugno del 1988. Per sua stessa volontà non fa apporre sulla lapide il suo nome. Al contrario vuole che quella lastra tombale diventi il monumento dedicato a tutta la comunità LGBT. Concludo con una delle tanti frasi celebri di Matlovich, di una potenza simbolica difficilmente equiparabile: “Quando ero nell’esercito, mi hanno dato una medaglia per aver ucciso due uomini e un licenziamento per averne amato uno“
Premiati per uccidere, puniti per amare. La storia di Leonard Philip Matlovich in sei parole.