Fotografia di anonimo, Dallas, 22 novembre 1963. John Fitzgerald Kennedy si sporge dall’automobile decapottabile che lo sta conducendo per le strade della città texana. Accanto a lui, come sempre, c’è l’inseparabile moglie Jacqueline. Di fronte a lui siede il governatore del Texas, John Connally. Alla folla che lo acclama festante lui corrisponde uno sguardo compiaciuto. Non sapeva che sarebbe stato il suo ultimo sorriso.
Quella mattina tutto sembra andare secondo copione. L’affetto che la città gli sta tributando rincuora Kennedy circa le possibilità di riconquistare sostenitori fra i texani. La visita è infatti parte della campagna per le elezioni che si sarebbero tenute l’anno successivo. Le politiche contro le discriminazioni della comunità afro-americana e il fallimento nel contrastare la Cuba castrista gli hanno alienato una parte del consenso soprattutto nel sud conservatore. È quindi fondamentale recuperare terreno, in modo particolare in uno stato decisivo come il Texas.
Alle 12.28 la limousine presidenziale entra in Dealay Plaza. Pochi minuti dopo passa di fronte al deposito di libri della Texas School. Dal terzo dei suoi sette piani partono una serie di colpi di fucile, due dei quali trafiggono il cranio di Kennedy. La corsa in ospedale è vana: il presidente Kennedy morirà poco dopo all’età di 46 anni.
Tutti i presenti riconoscono la provenienza degli spari. Le forze dell’ordine fanno irruzione nel deposito di libri. Ritrovano il fucile, ma non colui che ha premuto il grilletto. Per tutta la città si scatena una vera e propria caccia all’uomo. Qualche ora dopo, un uomo di nome Lee Harvey Oswald è arrestato per l’assassinio di un poliziotto. Gli inquirenti scoprono che lavora proprio in quel deposito di libri e che è il possessore del fucile utilizzato per l’attentato. Formulare nei suoi confronti l’accusa di essere l’assassino di Kennedy appare quindi assolutamente logico alla polizia di Dallas.
Il reo, però, non confesserà mai l’omicidio, anche perché solamente due giorni dopo viene freddato a colpi da pistola da un uomo che intende vendicare l’omicidio di Kennedy. Poco tempo dopo si aprirà una commissione d’inchiesta parlamentare affidata al presidente dalla corte suprema Earl Warren. Essa confermerà le accuse ad Oswald e lo indicherà quale unico responsabile dell’attentato. Ma non riuscirà a fugare i sospetti di un complotto ai danni del presidente. Una nuova commissione d’inchiesta del 1976, pur riaffermando la colpevolezza di Oswald, aprirà alla possibilità di un coinvolgimento di altri esecutori.
Sull’assassinio di Kennedy non è ancora stata scritta l’ultima parola. Nel corso degli anni l’opinione pubblica si è spaccata fra chi sostiene la veridicità della “versione ufficiale” e chi invece opta per teorie alternative che vedono il presidente vittima di una congiura. Di certo quel che accadde sessant’anni fa ha marcato profondamente il XX secolo. Un giorno che Kennedy sperava essere l’inizio della sua cavalcata per la riconferma alla Casa Bianca. E che invece si sarebbe concluso con quell’ultimo, lucente, sorriso.