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Foto del giorno: l’eruzione del Tambora, la più potente della storia

Fotografia di Pierre Markuse, vulcano Tambora, Sumbawa, Indonesia, 28 luglio 2020. Quella che vedete nella foto è la caldera del Tambora, un vulcano che ha dato luogo a una delle eruzioni più potenti di sempre.

L’eruzione del vulcano Tambora

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Crediti foto: @Pierre Markuse from Hamm, Germany, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

Il Tambora, noto anche come Tomboro, è uno stratovulcano che si trova nell’isola di Sumbawa, nell’arcipelago indonesiano della Sonda. Purtroppo il vulcano è diventato celebrare a causa di una disastrosa eruzione nel 1815, una delle poche classificate VEI-7 nel corso della storia.

Quando pensiamo alle esplosioni vulcaniche più violente, ricordiamo sempre il Vesuvio, il Krakatoa o anche il St. Helens negli Stati Uniti. Ma in pochi si ricordano del Tambora. Cosa successe, però, nel 1815?

In realtà all’epoca il risveglio del vulcano iniziò nel 1812, fra boati e nubi scure originanti dal cratere. Il tutto andò avanti per un paio di anni, tanto che nel dicembre del 1814, la nave da crociera Ternate, pur trovandosi molto distante dalla zona, vide delle colossali volute di fumo emergere dal vulcano.

Si arriva così al 5 aprile 1815 quando il vulcano eruttò effettivamente per la prima volta in questo ciclo. I boati si sentirono fino a Giava, a 1.260 km di distanza e fino alle Isole Molucche, situate a 1.400 km di distanza.

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Crediti foto: @Georesearch Volcanedo Germany, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Il giorno dopo, cenere vulcanica iniziò a cadere a Giava, con continui boati. Pensate che fino alla caduta della cenere vulcanica, si pensava che i boati derivassero da esplosioni di artiglieria, tanto che il governo mobilità le truppe di Giacarta. Solo quando videro la cenere capirono che quei boati dipendevano da un vulcano in attività.

Ma è il 10 aprile che il vulcano iniziò a scatenarsi davvero. Un rajah di Sanngar, riuscito per miracolo a sopravvivere all’eruzione, ha fornito una descrizione molto dettagliata di ciò che accadde.

Alle 7 di sera del 10 aprile 1815, dal cratere del Tambora esplosero tre diverse colonne di fuoco che poi si unirono fino a trasformare il vulcano in una massa di “fuoco liquido”. Le pomici iniziarono a cadere intorno alle ore 8 di sera, con pietre anche di 20 cm. Alle 9, invece, arrivò la cenere vulcanica. Alle 10 fu la volta dei flussi piroclastici, descritti come venti violenti. Furono proprio questi turbini a distruggere del tutto Sanngar che, fra l’altro, si trovava a 30 km dal vulcano. E anche i regni di Tambora e Pekat furono annientati.

Esplosioni causate dal contatto fra l’acqua del mare e i flussi piroclastici scatenarono onde alte anche 4 metri. Dalla mezzanotte e fino alla sera dell’11 aprile continuarono a susseguirsi terribili esplosioni, percepite molto bene a Sumatra e Atrumon (quest’ultima si trova a 2.600 km di distanza dal vulcano). Successive analisi hanno ipotizzato che le esplosioni si sentirono anche più lontane, fino a Nong Khai, a 3.352 km.

A causa del collasso della cima del Tambora e per via della formazione della caldera, continuavano intanto a prodursi nuove esplosioni. La cenere arrivò a oscurare il cielo fino a Giava e Sulawesi, mentre a Batavia gli abitanti sentivano un odore nitroso nell’aria.

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Crediti foto: @NASA

A partire dalla sera dell’11 aprile le esplosioni iniziarono a scemare, diventando intermittenti e sempre meno forti, fino a terminare del tutto solo il 15 luglio. Considerate che la cima del vulcano non fu visibile fino al 23 aprile a causa del fumo. Lungo le zone costiere della penisola di Sanngar, poi, si svilupparono delle enormi depressioni circolari. Erano il frutto dei crateri esplosivi che si creavano quando l’acqua marina entrava in contatto con le colate piroclastiche.

Secondo i vulcanologi, questa fu una eruzioni più potenti di sempre dalla fine dell’ultima era Glaciale. La quantità di ceneri prodotte fu 100 volte superiore rispetto a quella dell’eruzione del monte Sant’Elena del 1980 e maggiore anche di quella del Krakatoa del 1883. Le sostanze immesse nell’atmosfera oscurarono la luce solare negli anni successivi (tanto che il 1816 è ribattezzato l’anno senza estate), alterando anche il clima su scala mondiale.

Lo svuotamento totale della camera magmatica causò il collasso del cono vulcanico, un tempo alto 4.300 metri. Attualmente tutto ciò che ne rimane è una caldera di diametro di 6-7 chilometri e profonda 1.300-1.400 metri.

Tre regni furono distrutti dai flussi piroclastici e dai conseguenti tsunami, per un totale di circa 12mila morti. Ma sommando anche le morti indirette per malattie e fame dovute alla distruzione delle piantagioni, morirono 38mila persone a Sumbawa, 44mila a Lombok e 25mila a Bali. E le morti indirette a livello mondiale, a causa degli sconvolgimenti climatici, salirono a 200mila persone.