Fotografia di Isidore van Kinsbergen, Tempio di Borobudur, isola di Giava, Indonesia, 1873. Il monumento indonesiano, che per secoli è rimasto relegato all’ambito della leggenda, si mostra finalmente al mondo nella sua versione rinnovata dopo il restauro degli anni ’60 del XIX secolo. Sebbene la fotografia di van Kinsbergen fu la prima a rendere davvero famoso il tempio-montagna, questo in realtà ritornò alla luce tra il 1814 e il 1815, circa sessant’anni prima dello scatto.
Isidore van Kinsbergen fu uno degli incisori/fotografi fiamminghi più stimati della sua epoca. Gli storici lo ricordano principalmente per le sue fotografie dall’enorme valenza archeologica e culturale scattate su commissione nelle Indie orientali olandesi durante la seconda metà dell’Ottocento. Sebbene gli scatti del fotografo fiammingo spaziassero molto per soggetto e stile adottato (tra paesaggi naturali a contesti micro-urbani, dalle fotografie di corte allo studio dei modelli, arrivando ai nudi), le foto che lo fecero conoscere all’alta società europea furono quelle realizzate nel 1873 a Borobudur (altresì noto come Barabuḍur).
Borobudur visse a tutti gli effetti una seconda vita a partire dal 1814. La sua storia merita una breve disamina. Venne costruito intorno al IX secolo dai sovrani della dinastia Sailendra, all’apogeo del loro dominio. La sua completa edificazione richiese 75 anni di duro lavoro e la manodopera di ben 10.000 persone. Due elementi, distaccati temporalmente, ne decretarono tuttavia il progressivo abbandono:
- Una supposta eruzione vulcanica che attorno all’anno mille causò una pioggia di detriti che andarono a coprire il tempio. Sullo stesso materiale di residuo crebbe una folta vegetazione che aggravò le condizioni della struttura.
- Il processo di conversione religiosa che nel XV secolo raggiunse il suo culmine. La maggior parte della popolazione isolana era di fede islamica, dunque poco interessata alle sorti di un vecchio e diroccato tempio buddhista. Da qui il completo abbandono.
Dopo la sua presa a danno degli olandesi, Giava rimase per un quinquennio sotto amministrazione britannica, dal 1811 al 1816. Governatore generale dell’isola fu Thomas Stamford Raffles, vivamente appassionato della storia e della cultura locale. In una delle sue ispezioni a Semarang, venne a sapere da un funzionario qualcosa di particolarmente intrigante. Da tempo immemore la popolazione di Giava si tramandava una sorta di racconto al limite tra realtà e leggenda. La narrazione era incentrata su un enorme “tempio-montagna” occultato dalla fitta ed impenetrabile giungla. Secondo tradizione, la struttura doveva trovarsi non lontano dal villaggio di Bumisegoro.
Il governatore Raffles ingaggiò 200 uomini e li affidò all’esploratore Hermann Cornelius, già autore di un’importante scoperta dieci anni prima: il complesso di Sewu. In due mesi Cornelius & company sradicarono, tagliarono e bruciarono alberi nella zona indicata. Metodi poco ortodossi che però fruttarono, perché alla fine del 1814 il monumento tornò alla luce, seppur parzialmente. I successivi rivolgimenti politici (Giava ritornò al neonato Regno Unito dei Paesi Bassi nel 1816 così come stabilito dalla Convenzione di Londra del 1814) bloccarono le operazioni di scavo sul tempio. Queste ripresero nel 1835, con il completo dissotterramento architettato da un altro olandese, Christiaan Lodewijk Hartmann.
Per tutti gli anni ’50 e ’60 il governo delle Indie orientali olandesi insisté su tre punti: 1) la liberazione degli ultimi tunnel sotterranei ostruiti; 2) la realizzazione di una monografia esaustiva su Borobudur, da presentare in ambito accademico; 3) un primo tentativo di restaurazione del monumento, visto il costante pericolo di crollo delle sezioni superiori.
Quando l’opera di restauro parziale poté dirsi finalmente completata tra il 1869 e l’anno successivo, entrò in gioco il già nominato Isidore van Kinsbergen. Ed è grazie a lui che oggi possediamo una serie di 42 fotografie raffiguranti il tempio buddhista Mahāyāna post-restauro. Oggi il complesso templare che si estende in superficie per ben 8 km² – a tanti ha ricordato opere colossali dell’antichità; frequente è il paragone con la piana di Giza – e che si eleva per 35 metri d’altezza, è il monumento più visitato dell’intera Indonesia.