Fotografia di anonimo, Persepoli, Stato imperiale dell’Iran, ottobre 1971. Truppe in tradizionali abiti achemenidi sfilano nella parata celebrativa dei 2.500 anni di impero in Persia. La fotografia, così come tante altre scattate nei giorni che intercorsero dal 12 al 16 ottobre del 1971, incarna lo spirito contraddittorio della ricorrenza. Il fasto estremo in un paese essenzialmente povero e corrotto. Il valore univoco dell’apparenza frapposto all’identità plurima e frammentata dell’Iran Pahlavi. L’inutile sperpero di ingenti risorse dinnanzi le mille criticità di un sistema in declino.
Non è pura retorica, o almeno, non vuole esserlo. Perché lo scià di Persia, Mohammad Reza Pahlavi, non pose un limite alle spese per i festeggiamenti – sull’entità dei quali brevemente ci soffermeremo – e così facendo mostrò una duplice faccia di sé.
Al mondo esterno, quello delle delegazioni internazionali e delle cancellerie, apparì come un sovrano sopra le righe, ma pur sempre una testa di ponte contro le forze ostili all’Occidente. Al mondo interno, quello iraniano, conservatore e soprattutto musulmano, Reza Pahlavi dimostrò per l’ennesima volta quanto pericolosa fosse la deriva occidentalista per i sacri valori tradizionali di un Iran erede politico (e non spirituale) dell’Impero achemenide, oggetto di glorificazione. Contraddizioni che lo scià pagò a caro prezzo in quel decennio.
Quella dei 2.500 anni dalla fondazione dell’Impero achemenide sarebbe stata l’ultima grande festa organizzata dalla dinastia Pahlavi. Allora non lo sapevano, ma forse se l’aspettavano. A fare da sfondo ai festeggiamenti una rispolverata e rimaneggiata Persepoli, l’antica capitale achemenide circondata dai monti Zagros. Lo scenario perfetto, questo è innegabile.
Dopo un anno di pianificazione, durante il quale si ottimizzarono le infrastrutture, i servizi e l’accessibilità intorno alla città di Shiraz (vicino la quale si trovano le rovine dell’antica Persepoli), il 12 ottobre si diede il via alle danze. Ad ospitare le delegazioni provenienti da tutto il mondo un’oasi nel deserto: la Golden City. Una tendopoli di lusso grande 647.497 metri quadrati sviluppata a forma di stella. Completamente accerchiata da alberi piantati ad hoc per ricreare l’aspetto della Persepoli di un tempo con al centro una maestosa fontana. Per non farsi mancare nulla, i servizi di catering furono gentilmente concessi – si fa per dire – da Maxim’s, il locale di Parigi che per buona parte del Novecento godette della nomea di “miglior ristorante al mondo”.
Potremmo perderci nei dettagli dell’esosa organizzazione. Tra porcellane di Limoges, limousine rosse Mercedes-Benz, uniformi imperiali disegnate dagli stilisti più autorevoli dell’epoca, la Persia Pahlavi spese all’incirca un budget di 17 milioni di dollari (fonte: Ministero della Corte Iraniana). Uno degli organizzatori parlò di oltre 22 milioni di dollari. Numeri da capogiro che gran parte del popolo iraniano non avrebbe perdonato al sovrano otto anni dopo.