Foto del giorno di Arthur Sasse, New York, 1951. La linguaccia di Albert Einstein. Una foto iconica che ritrae una delle più grandi menti della storia in un atto da vero e proprio burlone. Fuori da qualsiasi schema, se si pensa ad uno scienziato del suo calibro, appare il gesto simpaticamente fatto al fotografo che provava ad immortalarlo. Un atto genuino e privo di qualsivoglia cattiveria.
L’iconica fotografia nasconde in sé un piccolo particolare. Non tutti sanno infatti che venne scattata il 14 marzo del 1951. Non era una data qualsiasi, era il giorno in cui Albert diventava più vecchio di un anno. Compiva quel giorno ben 72 anni. Proprio per l’occasione ci fu una festa al Princeton Club di New York.
Durante tutta la serata, secondo alcune testimonianze, Einstein aveva posato già numerose volte per i fotografi. Tutti gli chiedevano un sorriso per immortalare quello che era uno scienziato di fama mondiale. Uno dei più importanti dell’intera storia. Arthur Sasse, il fotografo protagonista della nostra foto del giorno però lo aspettò all’uscita. Una mossa che poteva costargli caro.
Anche lui, come i suoi numerosi colleghi, gli chiese costantemente ed insistentemente, un sorriso. Ma Albert era allo stremo, dopo una serata di festa e di continui scatti. Saliva proprio in quel momento sul taxi insieme ad una coppia di amici. All’ennesima richiesta di Sasse, lo scienziato decise di accontentarlo a modo suo, con una linguaccia.
L’aspetto ancora più divertente dell’intera vicenda deve ancora arrivare. Forse spiazzato dalla prontezza di Sasse, che colse al volo il momento, si innamorò dello scatto e della sua ilarità. Pare infatti che ne richiese alcune copie, ritagliate, per utilizzarle come biglietti di auguri, lasciando fuori dalla rappresentazione i suoi due amici originariamente presenti nello scatto.
Insomma, lo studioso della famosa formula della relatività, tanto importante anche nello sviluppo dell’energia atomica, l’uomo geniale dalle mille intuizioni, sapeva essere anche un gran giocherellone. Questa foto di Arthur Sasse ce lo racconta proprio in tale veste.