Fotografia di anonimo, Londra, 24 luglio 1908. L’atleta italiano Dorando Pietri taglia il traguardo della maratona di Londra aiutato dallo staff. Il supporto gli costerà la medaglia d’oro, che andrà all’americano Johnny Hayes, arrivato secondo. Pietri sarà per sempre “famoso per non aver vinto” e la sua non-impresa si arricchirà nel tempo di curiosi aneddoti, molti dei quali dal sapore leggendario.
Classe 1885, emiliano fino all’osso, contadino figlio di contadini, almeno fino 1897, quando con tutta la famiglia si trasferisce a Carpi e trova lavoro come garzone in una pasticceria. Appassionato di corsa e ciclismo, Dorando bilancia la sua altezza (1,59 m) con un’attitudine senza eguali. Abile ed esplosivo, il giovane natio di Mandrio (frazione di Correggio) inizia ad allenarsi per poter partecipare agli eventi atletici nazionali. In realtà qui la realtà si intreccia col fantasioso. Corre voce che al passaggio di Pericle Pagliani, il ciclista italiano più famoso del tempo, nel centro cittadino di Carpi, il giovane Pietri si sia messo a rincorrerlo con addosso gli abiti di lavoro, tenendo il passo fino all’arrivo.
Verità o meno, ciò che è certo riguarda l’ottimale forma atletica di Pietri, che nel 1904 partecipa alla 3.000 metri di Bologna salendo sul secondo gradino del podio. I successi non tardano ad affermarsi: l’anno successivo arriva primo alla 30 km di Parigi, distaccando gli altri concorrenti di circa 6 minuti. Nel 1906 dà grande prova di sé ai Giochi olimpici intermedi, nella sessione estiva di Atene. Peccato che durante la maratona abbia dei problemi allo stomaco e si veda costretto al ritiro, nonostante il vertice mantenuto fino al 24° km. Il 1907 è denso di vittorie, ma non è altro che un anno di preparazione al grande evento del 1908, al quale Dorando Pietri non può, anzi, non deve mancare: la maratona di Londra.
Il 24 luglio è la data segnata in rosso sul calendario. In totale fanno 42,195 km in un giorno insolitamente caldo per il solito clima inglese. Alla partenza, di fronte il Castello di Windsor, ci sono 56 atleti. Uno si riconosce per la statura, i calzoncini rossi e la maglia bianca, il numero 19 sul petto e una determinazione negli occhi che neppure l’asfissiante calura può sbiadire.
La tattica, concordata con i più stretti collaboratori, è semplice: far proseguire la testa e restare nelle retrovie fino al momento giusto. Da copione Pietri resta a quattro minuti di distanza fino al 20° km. Quando nota che i britannici davanti iniziano ad arrancare, lui accelera il passo. Dopo 32 km è secondo. Davanti c’è l’ostico sudafricano Charles Hefferson, che pure non ha troppa benzina nel serbatoio. La pettorina numero 19 non aspetta altro che un passo falso del sudafricano. Viene accontentato al 39° km, quando con uno sprint affatto gratuito lo sorpassa e si porta alla testa della corsa.
Manca pochissimo e Dorando lo percepisce, ma il corpo smette di collaborare. Sbaglia strada, cade, boccheggia come se dovesse spegnersi da un momento all’altro. A 200 metri dal traguardo, che si trova all’interno dello stadio olimpionico, accade l’inconcepibile. I 75.000 spettatori urlanti assistono al crollo psico-fisico del maratoneta italiano. Due membri dello staff intervengono, aiutando un Pietri che a malapena si regge in piedi a concludere la gara. Vince, ma qualcuno protesta. Lamentele provengono soprattutto dal team dello statunitense Johnny Hayes, il quale si è posizionato secondo. I giudici di gara accolgono gli appelli e squalificano Petri, consegnando la medaglia d’oro all’americano.
Il dramma di Pietri emoziona i presenti, che lo vedono come il vincitore morale della maratona di Londra. Così la pensa anche la regina Alessandra, la quale fa premiare Dorando Pietri con una coppa d’argento dorato. L’idea probabilmente è dello scrittore Arthur Conan Doyle, la penna dietro il personaggio di Sherlock Holmes. Doyle (che non è uno degli uomini che si vedono in foto, come parte dell’opinione pubblica ha voluto credere) si occupava della cronaca per il Daily Mail. Con queste parole descrisse l’episodio: “La grande impresa dell’italiano non potrà mai essere cancellata dagli archivi dello sport, qualunque possa essere la decisione dei giudici”.
Dorando Pietri divenne una celebrità per non aver vinto, tanto in Italia quanto all’estero. Parteciperà ad altre manifestazioni sportive, ottenendo anche ottimi risultati. Tuttavia nel 1911 si ritirò dalla scena professionale, all’età di 26 anni, con soli tre anni di attività e 46 gare nel palmares. Morì nel 1942, dopo aver sostenuto in modo incrollabile il regime fin dalle prime battute (detentore della tessera n. 47 363 dal marzo 1921). Chiese nel testamento olografo di essere sepolto in camicia nera e così fu.
La capitale inglese non ha mai dimenticato l’uomo che fece commuovere la regina Alessandra e i 75.000 spettatori di quel 24 luglio 1908. Una strada porta ancora oggi il suo nome, nel quartiere White City potete imbattervi nel “Dorando Close“.