Fotografia di George Rodger, Villa Lucia, quartiere Vomero, Napoli, 22 marzo 1944. Il Vesuvio erutta durante l’occupazione anglo-americana. A causa delle operazioni alleate nel Mezzogiorno e della conseguente presenza di operatori stranieri in loco, il clamoroso evento del 1944 resta l’unico ad essere stato documentato con fotografie e lunghe riprese.
Uno dei fotoreporter di guerra più attivi in quel periodo e in quel contesto fu senza ombra di dubbio il britannico George Rodger. Quella scattata da Villa Lucia non fu l’unica fotografia del Vesuvio in piena eruzione. Eppure risulta essere una delle più ammalianti, un po’ per l’ottimale posizione – centrale e al contempo rialzata – e un po’ per le persone immortalate a loro insaputa. Se ne stanno con le mani in tasca e il naso all’insù. Osservano un evento raro, dalla molteplice interpretazione ma universalmente ritenuto sbalorditivo.
Paradossalmente per i campani il Vesuvio è sempre stato sinonimo di distruzione e vita. Giuseppe Imbo, nel 1944 direttore dell’Osservatorio del Vesuvio, offrì un’interpretazione – abbastanza ottimistica, bisogna ammetterlo – del rapporto tra il popolo napoletano e il mitico vulcano. Così si espresse in merito: “Una cosa meravigliosa, il mio Vesuvio. Riveste la terra di cenere preziosa che rende la terra fertile. Ecco perché, dopo ogni eruzione, la gente ricostruisce le proprie case sulle pendici del vulcano. Ecco perché chiamano le pendici del Vesuvio ‘Campania felix’, la terra felice”.
Ma se questa fu la visione filosoficamente positiva dell’accaduto, l’altra faccia della medaglia presentava un conto salato. La prima fase eruttiva iniziò il pomeriggio del 18 marzo. In realtà fu “anticipata” da qualche crollo riguardante le pareti del conetto. Questa fase si caratterizzò esclusivamente per delle portentose colate laviche, che travolsero i comuni di Massa di Somma e San Sebastiano.
All’indomani del 22 marzo, lo stile eruttivo del Vesuvio murò sensibilmente. Nella tarda mattinata una nube grigiastra si elevò in cielo per 6 km. Seguirono valanghe di detriti caldi e piccoli ma costanti flussi piroclastici. Il tutto contornato da frequenti terremoti, anche se di piccola intensità, che durarono fino al 23 marzo. Il giorno dopo terminarono altresì le esplosioni.
26 le vittime accertate, la maggior parte delle quali morte per il crollo dei tetti appesantiti oltre modo dalle ceneri vulcaniche. Le evacuazioni dei comuni maggiormente interessati dall’eruzione fu efficace, anche se appesantì il sistema di gestione sfollati messo in piedi dagli Alleati a causa delle attività belliche in corso. Napoli non subì ripercussioni a causa dei venti favorevoli, che spinsero ceneri e lapilli dall’altro lato del vulcano.
P.S. Qui di seguito trovate il cinegiornale statunitense che all’epoca mostrò le migliori riprese dell’eruzione e degli effetti sui centri abitati limitrofi.