Fotografia del Centro Ippico Militare Tor di Quinto, Roma, 1906. Il capitano di cavalleria Federico Caprilli effettua una rampa in discesa, sullo “scivolo di Tor di Quinto”, a conclusione di una sessione d’addestramento. La fotografia del primo Novecento lascia stupiti, quasi senza fiato, poiché da un lato trasmette un senso di imminente rischio (il cavallo sembra star cadendo nel vuoto) ma dall’altro, a ben guardare, suscita sicurezza, la medesima con cui il capitano Caprilli ammaliò l’Italia, l’Europa e il mondo intero. C’era un tempo in cui la cavalleria italiana era sinonimo di eccellenza e avanguardia; questa è la storia – in immagini – di quell’epoca trascorsa.

All’esordio del XX secolo la Scuola di Cavalleria di Tor di Quinto, a Roma, condivideva con l’omonima francese Cadre Noir de Saumur il primato internazionale in materia di equitazione. Probabilmente Tor di Quinto era la prima accademia al mondo per l’addestramento avanzato dell’equitazione di campagna, disciplina comunemente nota come cross-country.
La cavalleria italiana era dunque avanguardistica, perché attraverso alcuni personaggi storici di rilievo modernizzò il concetto stesso di equitazione, rivoluzionandone l’applicazione militare. Prima che uomini del calibro del tenente di Roccagiovine, il tenente Brascorens di Savoiroux, il tenente Fattori ed il capitano Federico Caprilli gettassero le basi per la contemporanea arte equestre, si cavalcava seguendo dettami arcaici. Ad esempio lo stile dominante prevedeva per il fante una postura eretta e rigida, disdicente per la fluidità di movimento del cavallo.

Invece la Scuola di Cavalleria di Tor di Quinto, nella persona di Federico Caprilli, cambiò radicalmente il paradigma della cavalcatura. L’ufficiale livornese fu tra i primi a notare una certa dissonanza di movimenti tra i cavalieri e i cavalli durante il salto degli ostacoli. Il fante utilizzava lunghe staffe, teneva le gambe protratte in avanti e il corpo piegato all’indietro, tirando le redini mentre il cavallo superava l’ostacolo. Le criticità per Caprilli erano evidenti. Anzitutto si veniva a creare un disagio per il destriero, colpito sul muso ogni volta che si tentava il balzo. In secondo luogo il baricentro del cavaliere ricadeva sulla schiena del cavallo, limitandone lo slancio.
Caprilli quindi escogitò un sistema (oggi semplicemente noto come Sistema Caprilli) volto ad assecondare in tutto e per tutto il moto dell’animale. Doveva essere il fante a dover favorire il salto libero del cavallo e non il contrario, in un rapporto simbiotico fra uomo e animale. Per far comprendere ai sottoposti la sua idea, il capitano di cavalleria si avvalse di fotografie appositamente scattate, utili all’insegnamento. Di questi scatti è rimasta traccia, come potete voi stessi vedere.

Dalle istantanee si può ben vedere la naturalezza con la quale l’ufficiale e il suo cavallo scendono lo “scivolo di Tor di Quinto“, nel pieno stile della monta naturale all’italiana, poi divenuta di dominio mondiale.
Sul nuovo stile ci sarebbe un racconto abbastanza divertente, anche se lo ritengo più aneddotico che attinente alla realtà. Tuttavia merita un accenno: sembra che in una delle prime occasioni in cui i cavalieri montarono secondo le istruzioni del capitano Caprilli, di fronte ad una giuria di alti ufficiali accompagnati dalle loro dame, si fosse verificato uno scandalo. I fanti, non più in posizione eretta sul cavallo, ma portatisi in avanti in funzione aerodinamica, mostrarono così le natiche alle signore. L’indecoroso portamento scatenò l’ira dei superiori, inconsapevoli del radioso futuro che attendeva l’innovativo stile di monta.