Fotografia di Sam Nzima, Soweto, Sudafrica, 1976: il fotografo cattura il tragico momento in cui un liceale, Mbuyisa Makhubu, raccoglie e trasporta al sicuro il corpo esanime di un bambino di nome Hector Pieterson. L’Apartheid uccideva come non mai e la sua violenza non risparmiava nessuno, nemmeno i bambini innocenti.
Per capire meglio la tragicità di questo scatto torniamo al 16 giugno 1976. In questo giorno migliaia di studenti di Soweto, la più grande township, ovvero baraccopoli, del Sudafrica, si riunirono per protestare. Già sottoposti ad un duro regime di Apartheid, quel giorno giovani e bambini protestavano contro l’introduzione della norma che prevedeva l’insegnamento scolastico in lingua Afrikaans.
La lingue Afrikaans non era l’idioma del popolo, era qualcosa di esogeno e straniero, giustamente malvisto. Si trattava della lingua dei boeri, ancora oggi lingua ufficiale della Repubblica Sudafricana insieme all’Inglese. Boeri e inglesi erano le stesse persone che contribuirono, direttamente e indirettamente, alla creazione del regime di segregazione razziale. Rifiutarsi di apprendere tramite la loro lingua sembra più che legittimo quindi.
La polizia non la pensava chiaramente allo stesso modo degli studenti, e, come spesso tragicamente accade, la rivolta divenne sangue, la vita divenne morte. Fra i giovani vi erano, come accennato, anche bambini. Hector Pieterson era uno di questi e quel giorno la sorte più dura toccò a lui. Lo scatto di Sam Nzima ci racconta tutto questo, e qualcosa in più.
A fianco al liceale Mbuyisa, sopra menzionato, vi è anche una ragazza, disperata. Si tratta della sorella di Hector, che oltre ai propri diritti, perdeva anche un fratellino. Un bambino innocente che divenne immagine simbolo, grazie a Nzima, delle nefandezze e delle discriminazioni contro i neri in Sudafrica. La foto circolò anche nell’Occidente del mondo, sensibilizzando e non poco l’opinione pubblica a riguardo.
Per la prima volta, grazie ad una foto in bianco e nero di un bambino che muore in braccio ad un ragazzo che lotta per i propri diritti, il mondo si rendeva conto di cosa fosse davvero l’Apartheid. Si rendeva conto che la discriminazione razziale c’era ancora, forte e viva. Se ne rendeva conto, ancora una volta, troppo tardi, con la morte di un innocente e di molti altri come lui.