Storia Che Passione
Foto del giorno: il piccolo pastore piange le sue pecore

Foto del giorno: il piccolo pastore piange le sue pecore

Fotografia di William Albert Allard, nei pressi di Puno, Perù, 1981. Un piccolo pastore piange la morte delle sue pecore, investite da un pirata della strada. Il dolore e la tristezza del bambino divennero improvvisamente frecce conficcatesi nel cuore sensibile dei tanti che osservarono quella fotografia nel 1982, dopo la pubblicazione per il National Geographic. Sentimenti univoci che generarono empatia; empatia che scaturì a sua volta solidarietà, concreta ed efficace. Una storia, quella del giovanissimo allevatore, che voglio raccontarvi attraverso la lente di Allard.

Foto del giorno: il piccolo pastore piange le sue pecore

Passava di lì per caso William Albert Allard, fotografo di professione che nel 1981 stava girando il Perù alla ricerca di scatti densi di significato sulla vita quotidiana dei più umili. Sulla strada per Puno, grande città nel meridione del paese, Allard si imbatté in una scena davvero infelice. Un piccolo pastore di neppure 10 anni se ne stava sul lato della corsia. Il volto olivastro rigato dalle lacrime. Metà del suo gregge se ne era andato, mica smarrito, ma peggio. Alla domanda su chi fosse stato, il ragazzino rispose “tassista”. La sostituzione del termine, seppur corretto, con “pirata della strada” la fecero i presenti al seguito di Allard e la facciamo noi, nel presente.

Sfrecciando con la propria auto incurante di tutto e tutti, un uomo investì ed uccise quanto di più caro c’era in quel momento per il giovanissimo Eduardo Ramos, il ragazzino co-protagonista della storia. E se pensate che sia quantomeno esagerato affermare come delle pecore rappresentino la massima aspirazione di vita per qualcuno, allora o non siete mai stati pastori, o non avete idea di cosa fosse il Perù dei primi anni ’80. O entrambe le cose, chiaramente.

piccolo pastore William Albert Allard

Lo Stato andino usciva da un settennio di dittatura militare (strano per un paese del Sudamerica, eh…) che imperversò dal 1968 al 1975. Il ritorno alla vera democrazia fu graduale e poté dirsi completato solo negli anni ’80. Purtroppo con il regime democratico si affermò, in tutta la sua violenza, anche un sommovimento terroristico di matrice marxista-leninista (Sendero Luminoso prima, Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru, abbreviato in MRTA dopo). Allo scompiglio politico si aggiunga un rilevante dissesto sociale ed economico. Negligenze sul controllo della spesa fiscale condussero all’aumento del debito estero e ad una preoccupante impennata dell’inflazione. Povertà e miseria caratterizzavano le zone rurali del paese, di conseguenza la maggior parte del territorio.

piccolo pastore Eduardo Ramos 1981

In un contesto così delineato dobbiamo inserire la storia di Eduardo Ramos, delle sue pecore e della sua famiglia, nonché del villaggio in cui trascorse buona parte della sua esistenza. Dopo aver immortalato l’afflizione del piccolo pastore, William Albert Allard si allontanò, proseguendo il viaggio. Lo scatto, come anticipato nelle prime battute, divenne pubblico l’anno successivo. La storia di Eduardo commosse i lettori della rivista e li spinse a compiere un gesto ammirabile. Si mise in piedi una colletta che nel giro di qualche mese raggiunse i 57.000 dollari. Con quei soldi la famiglia Ramos poté comprare nuovi capi di bestiame, riuscì ad installare una pompa dell’acqua funzionale all’intero villaggio e soprattutto permise la costruzione di una scuola.

piccolo pastore Eduardo e William si incontrano di nuovo anni dopo

Allard rimase piacevolmente colpito dalla rapidità con la quale il tutto accadde. Anni dopo incontrò persino Eduardo, ormai adulto, mostrandogli la famosa fotografia. Nei primi del 2000 dirà dell’episodio: “La mia foto di Eduardo non ha posto fine a una guerra, non ha raccolto milioni per trovare una cura per una malattia, ma ha fatto una differenza positiva nella vita di una famiglia che vive in un mondo lontano dalla maggior parte di noi, dove il quotidiano non è scontato. Siamo fotografi e come tali adottiamo un linguaggio spesso predatorio, perché noi ‘catturiamo’, ‘otteniamo’ e ‘prendiamo’. Ma di tanto in tanto, diventiamo dei donatori e questo ci fa sentire meglio”.