Storia Che Passione
igor djatlov

Foto del giorno: il mistero dell’incidente del passo di Djatlov

Fotografia di Petr Bartolomey, luogo sconosciuto, gennaio 1958. Se l’incidente del passo di Djatlov vi fa risuonare un campanellino in testa è perché probabilmente vi ricordate del film Il passo del diavolo, un film tecnicamente ambientato ai giorni nostri, ma il cui antefatto si ispira proprio ai fatti di Djatlov. Ma noi è di quella notte del 2 febbraio 1959 che vogliamo parlare. Nella foto vedete raffigurato Igor Djatlov, uno dei partecipanti alla sfortunata spedizione.

La storia dell’incidente del passo di Djatlov

igor djatlov
Crediti foto: @Petr Bartolomey (w:ru:Бартоломей, Пётр Иванович), CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

Questa storia cupa e misteriosa inizia quando un gruppo di ragazzi sovietici decide di organizzare un’escursione con gli sci da fondo negli Urali settentrionali, nell’oblast di Sverdlosvsk. A guidare il gruppo formato da otto uomini e due donne c’era, per l’appunto, Igor Djatlov. La quasi totalità dei partecipanti erano studenti o neolaureati. Il gruppo era composto da:

  • Igor Alekseevič Djatlov, 23 anni
  • Zinaida Alekseevna Kolmogorova, 22 anni
  • Ljudmila Aleksandrovna Dubinina, 23 anni
  • Aleksandr Sergeevič Kolevatov, 24 anni
  • Rustem Vladimirovič Slobodin, 23 anni
  • Jurij Alekseevič Krivoniščenko, 23 anni
  • Jurij Nikolaevič Dorošenko, 21 anni
  • Nikolaj Vladimirovič Thibeaux-Brignolles, 23 anni
  • Semёn (Aleksandr) Alekseevič Zolotarëv, 38 anni
  • Jurij Efimovič Judin (Юрий Ефимович Юдин), 22 anni

Lo scopo della comitiva era quello di raggiungere il monte Otorten, a soli 10 km a nord del punto in cui avvenne l’incidente. Il percorso prescelto, vista la stagione, era di terza categoria, quindi il più difficile. Tuttavia tutti i partecipanti erano escursionisti esperti, abili sia sugli sci che capaci di affrontare spedizioni in montagna.

L’escursione

Sappiamo che il gruppo arrivò in treno a Ivdel il 25 gennaio. Da qui partirono con un camion per Vizaj, l’ultimo insediamento abitato prima del passo. L’escursione vera e propria partì proprio da Vizaj il 27 gennaio. Il giorno dopo, però, Judin dovette tornare indietro: non si sentiva bene.

Il percorso seguito è ben noto e documentato, grazie anche ai diari e alle macchine fotografiche ritrovati intorno al loro ultimo campo. Questo almeno fino al giorno prima dell’incidente. Questi i fatti salienti:

  • 31 gennaio: il gruppo arriva sul bordo di un altopiano e si prepara per la salite. Creano un deposito di cibo e attrezzatura in una valle boscosa, in modo da utilizzarli poi per il viaggio di ritorno
  • 1 febbraio: il gruppo inizia la risalita del passo. L’idea di base era quella di svalicare il passo, accampandosi poi la notte dopo sull’altro versante. Tuttavia a causa del peggioramento del tempo provocato da una tempesta di neve, ecco che la visibilità calò a tal punto che persero l’orientamento, deviando poi verso ovest. Una volta capito l’errore, si fermarono e accamparono sul pendio della montagna, aspettando che il tempo migliorasse

Le ricerche

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Crediti foto: @Dmitry Nikishin, Pubblico dominio, via Wikimedia Commons

Queste sono le ultime cose che sappiamo. In precedenza il gruppo aveva stabilito che, tornati indietro a Vizaj, Djatlov avrebbe telegrafato il loro ritorno alla loro associazione sportiva. Il rientro era previsto per il 12 febbraio, quindi passò un po’ di tempo prima che qualcuno si allarmasse. Questo anche perché, in queste spedizioni, è normale fare qualche giorno di ritardo.

Tuttavia ad un certo punto il ritardo divenne eccessivo e i parenti degli escursionisti chiesero che fosseo mandai i soccorsi. Un primo gruppo di soccorritori, costituito da studenti e insegnanti volontari, partì il 20 febbraio dall’Istituto dove i ragazzi studiavano.

Successivamente alle ricerche si aggregarono anche polizia ed esercito, usando aeroplani ed elicotteri. La tenda abbandonata dagli escursionisti fu trovata solamente il 26 febbraio. Era assai danneggiata e da essa partivano delle impronte che si dirigevano verso i boschi presenti sul lato opposto del passo, a circa 1,5 km a nord-est. Tuttavia, dopo solo mezzo chilometro, le orme sparivano nella neve.

I soccorritori arivarono fino al limitare del bosco e qui, sotto un cedro, trovarono i resti di un fuoco e i primi due corpi: erano quelli di Krivoniščenko e Dorošenko, tutti e due scalzi e con indosso solo la biancheria intima. Poi, fra il cedro e il campo, trovarono altri tre corpi, quelli di Djatlov, Kolmogorova e Slobodin. La posizione in cui si trovavano sembrava indicare che stessero cercando di tornare alla tenda.

Tuttavia i corpi erano distanti fa di loro, posizionati a 300, 480 e 630 metri dal cedro. Per più di due mesi si cercarono gli altri quattro escursionisti scomparsi. Li trovarono solamente il 4 maggio. Erano sepolti sotto la neve in una gola scavata da un torrente, dentro a un bosco sul cui limitare, a circa mezzo chilometro, c’era il solito cedro.

Le indagini

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Crediti foto: @ Merikanto, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Una volta trovati i primi cinque corpi, partirono le indagini per capire cosa fosse successo. Le autopsie parlarono di morte per ipotermia. Quando trovarono anche gli altri quattro corpi, ecco che si scoprì come Thibeaux-Brignolles avesse una grave frattura cranica, mentre Dubinina e Zolotare avevano la cassa toracica fracassata. Le ferite erano compatibili con un trauma violento (a livello di un incidente stradale, tanto per dare un’idea dell’intensità).

Solo che sui corpi non erano presenti ferite esterne. Era quasi come se i corpi fossero stati schiacciati da una pressione molto elevata. A complicare il quadro, poi, c’era il fatto che il corpo della donna non avesse lingua, occhi e parte della mascella. Colpa solo della decomposizione? Difficile a dirsi. Di sicuro furono scagionati gli indigeni Mansi. All’inizio si pensò che potessero aver attaccato il gruppo, ma non c’erano loro impronte in zona e i corpi non presentavano segni di colluttazione.

C’era anche da capire perché alcuni corpi fossero svestiti. Qualcuno ha provato a spiegare la circostanza chiamando in causa lo “spogliamento paradossale”. Si tratta di un comportamento visto nel 25% dei morti per ipotermia. Durante il passaggio fra la fase di ipotermia moderata e quella grave, la confusione mentale che ne deriva e l’aggressività spingono la vittima togliersi i vestiti. Questo perché proverebbe una falsa sensazione di calore.

Ma è anche possibile che i vestiti fossero stati tolti dai compagni vivi a quelli morti per aiutarsi a proteggere dal freddo. Questi i punti chiave dell’inchiesta:

  • sei membri del gruppo morti per ipotermia, mentre tre per ipotermia e traumi mortali
  • assenza di tracce di altre persone in zona
  • la tenda appariva lacerata dall’interno
  • le tracce indicavano che tutti i membri del gruppo si erano allontanati a piedi, in accordo fra di loro
  • gli escursionisti erano morti 6-8 ore dopo l’ultimo pasto
  • i traumi mortali di alcune delle vittime non erano ad opera di esseri umani, la potenza dei colpi era eccessiva
  • i vestiti di alcune vittime avevano alti livelli di contaminazione radioattiva

L’indagine fu archiviata nel maggio 1959. Tuttavia i dubbi persistevano. Un gruppo di escursionisti che si trovava a una cinquantina di chilometri di distanza, disse che quella notte aveva visto delle bizzarre sfere arancioni in direzione del passo. E altri testimoni parlarono di rottami di metallo trovati in quella zona. Il che alimentò le teorie di manovre segrete dell’esercito non andate a buon fine.

Successivamente qualcuno suggerì l’ipotesi di un mini tornado, mentre l’ultima indagine del 2020 stabilì che la causa era una valanga. Ma nessuno sa cosa sia accaduto davvero.