Fotografia di Marcelin Flandrin, catena montuosa dell’Atlante, 1925. Lo scatto aereo di Flandrin ritrae un rarissimo leone dell’Atlante, altresì noto come leone berbero, che vaga libero in natura. Si tratta di una fotografia dal valore assoluto, in quanto è l’ultima a raffigurare un esemplare di questa specie allo stato brado prima dell’estinzione.
Oggi non esiste più (anche se qualche esemplare in cattività presenta le sue stesse caratteristiche a causa di tentativi remoti di ibridazione) ma il leone berbero ha affascinato generazioni e generazioni di esploratori, naturalisti o semplici osservatori vissuti tra il XVIII e il XX secolo. Per dimensioni, il leone dell’Atlante era secondo solo all’antico leone delle caverne (di cui si conservano i fossili, ed è tutto dire). Un resoconto faunistico del 1840 sostiene come neppure tre uomini robusti riuscissero a sollevare la carcassa di un animale così maestoso. Una “bestia” che sconvolse testimoni del calibro di Eugène Delacroix, ispirato dal medesimo per la realizzazione di una tela (osservabile qualche riga più sotto).
Facente parte della sottospecie Panthera leo leo, questo animale annoverava tra le sue prede abituali il cervo berbero, l’asino selvatico africano, il cinghiale, la giraffa, il dromedario e diverse specie di antilopi e gazzelle. Neppure l’elefante nordafricano poteva dirsi al sicuro dinnanzi alla fame predatoria del leone dell’Atlante. Come i suoi simili, si trattava di un animale dalla connotazione prettamente sociale. Abituato a vivere in branchi compositi dove le femmine e i loro cuccioli contavano sulla protezione dei maschi più forti. Quando la sottospecie si avviò sulla strada dell’estinzione (per nostra esclusiva colpa, viste le taglie imposte sul loro capo e l’introduzione delle armi da fuoco in Nordafrica), i leoni dell’Atlante si fecero avvistare in gruppi sempre più piccoli. Non di rado in coppia o in solitudine.
Appare solitario e fiero il leone berbero nella fotografia di Marcelin Flandrin. Quest’ultimo, nato in Algeria da genitori francesi, lavorò gran parte della sua vita come fotografo militare in Marocco. Completò il servizio militare come volontario nel 1912. All’epoca in cui Flandrin eseguì il celebre scatto, stava sorvolando il Marocco sulla rotta Casablanca-Dakar. Egli lavorava per il Service Photographique des Armées francese, in particolar modo come fotoreporter durante la guerra ispano-magrebina del Rif (1921-1926).
Il pioniere della fotografia aerea in Africa nord-occidentale notò il leone dell’Atlante vagare in un valico di montagna. Prese la sua macchina fotografica e immortalò dall’alto quel meraviglioso esemplare, destinato di lì a pochi decenni alla completa estinzione. Una volta presente su tutto il settentrione del grande continente, scomparve in Libia già nel Settecento, in Nubia e nel Sahara centrale a metà Ottocento, in Tunisia e Algeria negli anni ’90 del XIX secolo.
Nel 1922 la casa reale marocchina rinchiuse nel serraglio di palazzo un branco di leoni berberi. Questi si riprodussero con altre sottospecie, dando vita agli ibridi di cui parlavo pocanzi, oggi in cattività presso lo zoo di Témara. Non si sa con assoluta certezza, ma è generalmente accettato come l’ultimo esemplare in libertà venne abbattuto in Marocco nel 1942.