Fotografia di anonimo, Gondar, Etiopia, 1936. Lo scatto, sfocato e poco nitido, ritrae due soldati italiani seduti a chiacchierare dopo la Marcia su Gondar. Alle loro spalle una casupola costruita in paglia e materiali caduchi, con un cartello quasi paradossale. “Grand Hotel Gondar” recita, ma quella capanna sembra tutt’altro, così come la guerra sembrava tutt’altro prima di arrivare nelle calde terre africane.
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L’Italia aveva già vinto, nell’area, tre battaglie: quelle dell’Endertà, del Tembién e dello Scirè. Achille Starace, segretario del PNF, mirava alla conquista del territorio degli Amara e alle terre intorno al più grande specchio d’acqua etiope, il lago Tana. Parliamo dei territori al centro e al settentrione dell’Etiopia, che l’Italia voleva tutta per sé. Non erano però proprio tutti d’accordo.
Fra quest’ultimi vi era il Negus Neghesti Hailé Selassié, ultimo imperatore d’Etiopia. Questi, con l’ultima guarnigione di uomini rimasta, provava a sbarrare la strada alle truppe italiane presso Quoram. Nel frattempo il Ras Immirù era in ritirata ed il suo luogotenente Ajeleu Burrù manteneva una posizione ambigua, avendo continui contatti con gli italiani. Ecco, lui non era sicuramente uno di quelli assolutamente integerrimi.
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Starace, alla guida del 3º Reggimento bersaglieri e dall’82º Battaglione di Forlì puntava dritto verso la capitale della regione degli Amara, Gondar. Con quasi 3.350 uomini e 500 automezzi, la colonna avanzava indisturbata. Il degiac Ajeleu Burrù, che guidava la colonna Etiope che avrebbe dovuto opporsi agli italiani, non contrastò l’avanzata.
Quest’ultimo, almeno ufficialmente, non collaborò mai con gli italiani, ma nemmeno vi si oppose. Secondo molte testimonianze e racconti, in quella marcia, il nemico fu avvistato diverse volte, ma mai attaccò. Paradossalmente, maggiore opposizione venne dalla terra africana, che continuava a franare. Alla fine di marzo Starace abbandonò gli automezzi che non riuscivano più ad avanzare.
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Alla fine gli italiani arrivarono indisturbati a Gondar, dopo ben 330 km di marcia in “territorio nemico”. Si trattò praticamente di una passeggiata di salute perché opposizione non ve ne fu e scontri neppure. Arrivati nella capitale degli Amara gli italiani si godettero il meritato riposo nel loro hotel di lusso, o almeno crediamo.