Fotografia di anonimo, Milano, 22 maggio 1873. Ei Fu. All’età di ben ottantotto anni muore Alessandro Manzoni. L’Italia intera, e non solo, è attonita e percossa dinnanzi la scomparsa di uno dei vati della nazione. Colui che ha eretto due contadini della Milano spagnola ad archetipo dell’italiano che si ribella al dispotico potere straniero. Colui che sciacquando i panni in Arno ha contribuito ad unificare linguisticamente la penisola.
Un grande letterato nato e cresciuto in un ambiente assai fertile per coltivare il suo genio. Suo nonno materno era Cesare Beccaria noto in particolare per essersi scagliato contro tortura e pena di morte in “Dei delitti e delle pene“. Poi vi era quella parentela non riconosciuta con Pietro e Alessandro Verri, due importanti esponenti dell’Illuminismo italiano, fratelli di colui che con molta probabilità era suo padre biologico, Giovanni Verri. Costui era infatti uno degli amanti della madre, Giulia Beccaria, che mal sopportava la relazione coniugale con il conte Pietro Manzoni, più anziano di lei di ben ventisei anni e padre legale di Alessandro.
Dalla sua formazione illuministica si sarebbe successivamente discostato per abbracciare le nuove tendenze romantiche, influenzato anche dalla sua conversione al cattolicesimo. La sua solida fede cristiana, d’altra parte, traspare nella fiducia incontrastata verso la Divina Provvidenza che si assapora leggendo i Promessi Sposi. Lo stesso lieto fine dopo la lunga e travagliata epopea di Renzo e Lucia è espressione della visione teleologica propria del Cristianesimo.
Ma il suo capolavoro rappresenta soprattutto un trionfo del suo ardore risorgimentale, non solo nella costruzione di una lingua nazionale. Le angherie del nobilotto spagnolo che divengono metafora dell’odiato dominio austriaco. Un po’ come il Nabucco di Verdi, in cui il Va’ Pensiero che gli ebrei prigionieri a Babilonia rivolgono alla propria terra natia israelitica è fatto proprio dal pubblico per esprimere l’aspirazione che anche gli italiani, un giorno, possano abitare in una patria libera dalla supremazia delle potenze estere.
Manzoni quella patria italiana libera e unita è riuscito a vederla. Ne ha ricoperto anche incarichi pubblici di primo piano: nel 1860 é nominato Senatore. Riesce a vedere addirittura a vedere Roma capitale del regno unitario, la naturale conclusione dell’epopea risorgimentale. È vero, mancano ancora Trento e Trieste, ma il più è stato fatto. E ora che finalmente la stagione del Risorgimento si è chiusa la sua spoglia immemore può riposare, quasi come abbia esaurito la missione di costruire l’Italia tramite la lingua e la letteratura.