Fotografia di Philippe Halsman, studio fotografico Halsman, New York, USA, 1948. Dalì Atomicus è il nome emblematico con il quale questa specifica fotografia, ritenuta dalla rivista Time tra le 100 più influenti mai scattate, è apparsa al grande pubblico nell’anno 1948. L’immagine è quanto di più surrealista ci possa essere, altrimenti non sarebbe degna né del suo soggetto, né dell’abile autore.
Il connubio artistico tra Salvador Dalì e Philippe Halsman precede il secondo dopoguerra, anzi, nasce in seno alla guerra stessa. È il 1941 quando i due si incontrano per la prima volta in quel di New York. Halsman è incaricato di fotografare un’installazione artistica ideata dal pittore surrealista alla Julien Levy Gallery in aprile; in ottobre i loro destini si incrociano nuovamente, questa volta il fotografo deve svolgere un servizio sui costumi che Dalì ha realizzato per un balletto alla Metropolitan Opera House. Quelle due occasioni segnano l’inizio di una collaborazione ultradecennale, dalla quale scaturisce Dalì Atomicus nel ’48.
Al tempo il virtuoso pennello catalano stava lavorando a Leda Atomica, dipinto che vedrà la luce solo nel 1949. La tela giocava molto con il tema della “sospensione” di protoni ed elettroni nella particella atomica, sulla loro costante repulsione che affascinava tanto i cuori creativi quanto quelli più prettamente scientifici. Da qui lo spunto per la fotografia di Halsman, che invero smussò le “folli intuizioni” di Dalì.
S’inserisce in questo esatto momento il primo aneddoto dietro lo scatto. Il pittore propose di immortalare l’esplosione di un’anatra viva, rigorosamente imbottita di dinamite pronta all’uso. Fortunatamente la pensata non ebbe seguito, con Halsman che preferì esplorare il tema della “sospensione” attraverso l’apparizione di mobili, gatti, acqua e, in definitiva, Dalì.
Per eseguire lo scatto giusto ci volle una buona dose di pazienza. 26 o 28 – dipende dalle fonti interpellate – i tentativi per giungere ad un risultato accettabile. Quindi immaginate 26 volte in cui la macchina fotografica di Philippe Halsman, una reflex a doppio obiettivo 4×5, ha cercato di catturare l’esatto istante in cui, all’unisono, Dalì ha saltato e con lui i tre gatti neri che gli volano accanto, il secchio pieno d’acqua è scaraventato sulla scena e tutto il resto sembra fluttuare in uno stato intermedio fra il reale e l’onirico.
Servono un tempismo e una coordinazione fuori dal comune, con l’aggravante che all’epoca le macchine fotografiche digitali andavano di pari passo con l’utopia futuristica di Fritz Lang. Un modo complesso per dire che non esistevano. Ciò significa che ogniqualvolta si procedeva con lo scatto, Halsman andava nella camera oscura per lo sviluppo della pellicola. Se notava un errore o un dettaglio fuori posto, tutti tornavano ai nastri di partenza.
Badate bene, quella che voi ed io stiamo osservando in questo frangente è l’opera fatta, finita… E ritoccata! Sì, perché la Leda Atomica che si intravede sul lato destro, dietro la combo di acqua e gatti, fu dipinta da Dalì direttamente sulla stampa finale dello scatto. Una sorta di postproduzione pittorica-fotografica. Troverete qui sopra la fotografia originale senza ritocchi: se gradite, sbizzarritevi nel trovare le differenze.
Dalì Atomicus conseguì un successo mondiale. La fama permise ad Halsman di eseguire scatti simili a quello ideato con il genio surrealista ma con celebrità diverse. Ad onor di cronaca si citino Audrey Hepburn, Grace Kelly, J. Robert Oppenheimer, Jack Dempsey, Marilyn Monroe, Richard Nixon cos il Duca e la Duchessa di Windsor (Edoardo VII d’Inghilterra e sua moglie Wallis). Nacque addirittura un termine per definire la tecnica, ovvero “jumpology“, che nelle parole di Halsman assumeva una spiegazione razionale perché: “Quando chiedi a una persona di saltare, la sua attenzione è rivolta principalmente all’atto del salto e la maschera cade, così che appare la persona reale”