Fotografia di Antonio Suau, Gujranwala-Punjab, Pakistan, 12 novembre 1988. La politica pakistana Benazir Bhutto sfila su un’auto durante la sua campagna elettorale. Quattro giorni dopo lo scatto della foto, si svolsero in Pakistan le prime libere elezioni generali dopo 11 anni di dittatura militare. Il confronto alle urne sorrise alla Bhutto, che divenne di lì a poco primo ministro del suo paese, la prima donna a ricoprire una simile carica in un paese islamico.
Dopo aver compiuto gli studi universitari tra gli USA ed il Regno Unito, Harward ed Oxford nello specifico, Bhutto, non ancora ventenne (nata nel 1953) si accostò al padre, aiutandolo in qualità di assistente. Una figura paterna di un certo peso, potremmo dire. Zulfiqar Ali Bhutto ricoprì il ruolo di presidente della Repubblica del Pakistan dal 1971 al 1973, e in seconda battuta quello di primo ministro dallo stesso ’73 fino al 1977. Egli fu il fondatore del PPP (Partito Popolare Pakistano), dalle velleità moderatamente progressiste e fondate sui valori democratici e repubblicani. Il PPP subì un notevole contraccolpo quando il generale Muhammad Zia-ul-Haq, cavalcando un’ondata di malcontento contro l’impopolare Bhutto senior, mise in atto un colpo di stato. Grazie ad esso Zia-ul-Haq divenne il 6° presidente della Repubblica pakistana, dal 1978 al 1988.
Bhutto senior andò incontro alla pena capitale, secondo volontà del nuovo vertice militare. Mentre sua figlia, Benazir, finì in esilio. Dal 1984 Bhutto raccolse l’eredità politica del defunto padre; ella prese in mano le redini del PPP, promettendo ai suoi sostenitori di lottare per la restaurazione della democrazia in Pakistan. Parole belle e dense di significato, che tuttavia non smossero chissà quanto la situazione interna al paese. Karachi poté dirsi finalmente libera dall’oppressione autoritaria solo quando la morte colse inaspettatamente il generale Muhammad Zia-ul-Haq, illustre vittima di un incidente aereo avvenuto nel Punjab nell’88.
Ironia della sorte, nello stesso Punjab sul quale Benazir Bhutto concentrerà gran parte della sua campagna elettorale tra l’autunno-inverno del 1988. Inviato speciale in quel di Karachi proprio per seguire i risvolti di un’accesa (e democratica) corsa al potere, Antonio Suau, in veste di giornalista per il Black Star di New York, si recò nell’est del paese, così da immortalare da vicino quella che si apprestava a divenire la prima donna al vertice di un paese a maggioranza musulmana.
La “donna dei record” la soprannominò qualcuno, ma l’entusiasmo durò poco, forse troppo poco. La maggioranza del PPP nell’Assemblea Nazionale traballò nei mesi successivi per via di alcuni scandali su tangenti e promesse tutt’altro che lecite. Ne rispose chiaramente Benazir Bhutto, leader del partito e primo ministro del paese. Accusata di corruzione nientemeno che dal presidente della repubblica a metà del 1990, nell’autunno perse le elezioni, passando all’opposizione.
In prima linea anche nell’opposizione, tornò a ricoprire la carica di primo ministro nel 1993, salvo essere accusata nuovamente di malaffare dall’altro presidente. Quest’ultimo si rese protagonista di un gesto più forte e simbolico, perché destituì la premier. Seguì il secondo esilio, tra Dubai e Londra. Quando tornò in Pakistan nel 2007, volenterosa di partecipare alla competizione politica del suo paese. Eppure l’attese un clima ostile, teso, oltremodo violento. Scampò ad un primo attentato. Rilasciò interviste “pungenti” e scomode per una miriade di uomini al potere. Quando si cimentò in uno dei suoi focosi comizi, un secondo atto terroristico la privò della vita. Era il 27 dicembre 2007.