Fotografia di AP Photos, Chicago, Illinois, USA, 10 ottobre 1931. Alphonse Gabriel Capone, meglio noto come Al Capone, siede affianco all’ex assessore di Chicago A.J. Prignano durante una partita di football americano. Una settimana dopo lo scatto in questione, il boss della mafia italo-americana sarà condannato alla detenzione federale per ben 11 anni, nonché al pagamento di una multa di circa 57.000 dollari. Questa fu in poche parole una delle ultime fotografie a ritrarre Scarface da uomo libero.
Lo scatto fotografico, come spesso accade in questa sede, è fonte di ragionamento storico. Al Capone fino ai primi d’ottobre del 1931 aveva accumulato qualcosa come 5.000 violazioni della legge americana. Di queste, solo cinque bastarono all’accusa per condurlo dietro i banchi del tribunale – tra l’altro tutti e cinque i capi d’accusa facevano riferimento a reati di frode fiscale. Le minacce d’incarcerazione, che pure vi furono, il boss della Chicago Outfit riuscì sempre a superarle per vie traverse, pagando ingenti cauzioni o fornendo le giuste mazzette alle giuste persone.
Nella fotografia lo sguardo di Al è fisso e pensieroso, tutt’altro che disteso. Forse già sa, o quantomeno si aspetta un esito nefasto per la sua persona, per il suo “onore” o per quella che è la miriade di malaffari in cui è coinvolto. I quasi sette anni di regno come principale gangster della galassia malavitosa americana terminarono qualche mese dopo, con l’incarcerazione del 1932.
Nel penitenziario di Atlanta ebbe inizio il calvario del “Nemico pubblico n.1” per gli Stati Uniti d’America. I dottori gli diagnosticarono gonorrea e sifilide, a quest’ultima si legò una degenerazione neurale (neurosifilide) che lo debilitò a lungo andare. L’astinenza dalla cocaina non aiutava di certo. All’età di 33 anni, Al Capone era arrivato al capolinea.
Temendo per un trattamento speciale riservato all’ex vertice della mafia italo-americana, il Dipartimento di Stato spostò Al Capone nel penitenziario federale di nuova apertura: Alcatraz. Al largo della baia di San Francisco, la condizione per il criminale peggiorò sensibilmente, nonostante la sua comprovata buona condotta. Sfuggì temporaneamente alla morte nel ’36 quando cercarono di accoltellarlo. Ma la fine era lì, dietro l’angolo, pronta a coglierlo. La neuorosifilide debilitò talmente tanto il prigioniero da costringerlo alla sezione ospedaliera di Alcatraz per tutto il 1938.
Nel ’39 uscì dal carcere e visse i suoi ultimi anni in una condizione di semi-lucidità fino all’avvento della morte, il 25 gennaio 1947. L’avrebbe mai ipotizzata una fine del genere in quel dì ottobrino del 1931, durante la partita universitaria di football americano tra Notre Dame e Northwestern? Nei suoi occhi qualcosa si legge, ma mai fidarsi dello sguardo di un uomo senza anima.