Fotografia di Ana Cecilia Gonzales-Vigil, prigione della base navale di Callao, Perù, settembre 1993. Abimael Guzmán, terrorista e agitatore peruviano, leader di Sendero Luminoso (Sentiero Luminoso in italiano), organizzazione guerrigliera d’ispirazione maoista, viene arrestato e successivamente imprigionato in una gabbia sotto stretta sorveglianza.
La fotografia di Gonzales-Vigil ottenne il terzo gradino del podio durante l’annuale premiazione del World Press Photo, per la categoria “People in the News”. Un riconoscimento meritato per uno scatto incredibilmente significativo, raffigurante l’uomo che per più di un decennio tenne sotto scacco un intero paese, il Perù, già malconcio e istituzionalmente dissestato. Barba ispida, completo detentivo a righe orizzontali bianche e nere, occhi truci nascosti da occhiali anneriti. Grida slogan, vuole farsi sentire, minaccia il corpo di guardia che può dirsi folto e ben equipaggiato. In quel settembre di sollievo per il paese Abimael Guzmán è allegoricamente ciò che più si avvicina ad un leone in gabbia. Allora venne condannato all’ergastolo, all’età di 57 anni, ancora abbastanza per esprime dissenso e inveire contro la giustizia. I restanti 29 anni li trascorrerà dietro le sbarre, fino alla morte sopraggiunta nel 2021.
Quell’uomo che Ana Cecilia Gonzales-Vigil immortalò con così tanta perspicacia e che tutto sembrava tranne che a suo agio in quella tuta stretta e appariscente, come anticipato, insanguinò le strade di Lima e dintorni a partire dagli anni ’70. Di organizzazioni rivoluzionarie dalla matrice politica più o meno identificabile ne spuntarono fuori a sacchi nel Sudamerica tra i decenni Settanta e Ottanta. Eppure Sendero Luminoso apparì fin da subito come un’eccezione dal retrogusto totalitario. Nata nel 1970 dagli intenti di alcuni professori universitari peruviani, tra i quali spiccava Abimael Guzmán, Sendero Luminoso si proponeva come obiettivo la sovversione del sistema capitalistico nazionale e l’instaurazione di un socialismo contadino sul modello maoista. Il tutto sarebbe divenuto realtà solo con la forza bruta delle armi, mai per vie democratiche, profondamente ripudiate.
Ben presto l’organizzazione estremista divenne l’espressione materiale della vanagloria messianica di Guzmán. Seguirono naturalmente episodi orrendi e deprecabili, come quando, nel 1980, mentre il Perù festeggiava il ritorno alle urne dopo 17 anni di dittatura militare, i militanti di Sendero Luminoso davano alle fiamme i seggi elettorali di Chuschi, una piccola cittadina nel dipartimento di Ayacucho. Ancora nel giorno di Natale dello stesso anno la disumanità fece breccia nella spensieratezza generale. Volendo festeggiare il compleanno di Mao, i seguaci di Guzmán presero ad ammazzare i cani randagi di Lima. Non soddisfatti, li appesero sui lampioni del centro storico coloniale di Lima. Macabro spettacolo per la quasi totalità del mondo, non per Sendero Luminoso, il quale protestava in questa maniera contro il revisionismo di Deng Xiaoping.
Due episodi affatto isolati ma organici all’interno di una galassia fatta di terrore, tensione, paura quotidiana. Gli attacchi nelle campagne (le stesse per le quali i membri di SL giuravano di combattere fino alla morte…) lasciarono il passo al terrorismo urbano, con vittima prediletta la capitale: Lima. Autobombe, rapimenti, attentati al centro del potere economico e politico. Più di 900 attacchi terroristici accumulatisi fino al 1990. Il governo rispose, ma lo fece maldestramente. Le forze di polizia, l’esercito e l’antiterrorismo si resero responsabili di gesta repressive contraddistinte dal disprezzo per ogni diritto umano fondamentale. Nel cuore dell’America Latina si stava verificando lo stesso fenomeno che in quegli anni dilaniava il Vecchio Continente; esempi simili furono l’ETA e l’IRA. Morale della favola: alla fine era sempre la gente comune a rimetterci.
Finalmente la cattura di Abimael Guzmán. Questa avvenne durante il primo mandato di Alberto Fujimori, nel 1992. L’incubo di Sendero Luminoso andò progressivamente svanendo, vista la cattività in cui versava il suo capo. I 600.000 sfollati (un numero iperbolico, ma concreto, reale) causati dagli atti terroristici orditi da Guzmán e meticolosamente eseguiti dai suoi discepoli tornarono nelle loro case. Potevano tornare alla tranquillità, seppur relativa, osservando il demone sbattersi e sbollentare dietro quelle sbarre accuratamente sorvegliate.