L’immaginario che gravita attorno alle antiche figure dei gladiatori romani si nutre di reperti affascinanti, che spaziano dalle epigrafi alle sculture fino ai testi letterari latini. Fonti di questo tipo testimoniano la presenza di simili combattenti non solo a Roma, dove la loro attività e formazione si concentrava nell’area del Colosseo, ma anche nel Sud dell’Italia. Ad esempio in Campania e in Sicilia, snodi strategici sul piano economico e militare, avevano sede alcune grandi scuole di addestramento per gladiatori. Strutture in cui visse il protagonista di questo racconto: Flamma.
L’introduzione di schiavi di guerra all’interno di questi centri di formazione era massiccia. Roma d’altronde era ancora in piena espansione in età imperiale, quando il fenomeno degli spettacoli sanguinari attirava negli anfiteatri folle di esultanti romani. Pertanto, le fila di questi combattenti si rinvigorirono a seguito delle sanguinose repressioni delle rivolte giudaiche. Nel II secolo d.C., infatti, molti dei giovani ebrei coinvolti nella resistenza antiromana di Bar Kokhba furono condotti via dalla Giudea e dalla Siria e trapiantati in alcune aree dell’Impero.
In Sicilia, in Campania e naturalmente a Roma i nuovi schiavi di guerra avrebbero affrontato il canonico percorso di formazione. A seguito dell’addestramento sarebbero stati pronti a combattere, ovviamente a costo della loro vita. Proprio in Sicilia deve aver vissuto Flamma, un gladiatore proveniente dalla Siria invasa da Adriano. Dell’origine di Flamma, ma soprattutto della sua tenacia, ci parla l’epitaffio contenuto in un’iscrizione perduta. L’epigrafe autentica, infatti, non ha lasciato tracce: apprendiamo di questo gladiatore grazie a “Le antiche iscrizioni di Palermo raccolte e spiegate”, edite nel 1762.
Nel volume è trascritta la dizione del monumento funebre del giovane: FLAMMA SEC VIX. ANN. XXX. PVGNAT. XXXIIII. VICIT. XXI. STANS. VIIII. MIS. IIII. Scopriamo, quindi, che Flamma svolgeva il ruolo di Secutor (inseguitore) e combatteva contro il Retiarus (Gladiatore con rete e tridente). Stando alla testimonianza, datata al II secolo, il giovane ebbe a Roma una lunga carriera di 13 anni. Combatté un totale di 34 battaglie (tra le quali un’ultima fatale), ne vinse 21, 9 finirono in parità. Inoltre, fu graziato per 4 volte e per 4 volte rifiutò il rudis (la spada di legno simbolo di libertà). Al di là delle notazioni sui suoi successi, la provenienza dal territorio conteso tra giudei e romani non è un dato di poco conto: Flamma era un adolescente quando 580.000 dei suoi correligionari furono uccisi dai romani.
Se Flamma, dunque, era giunto a Roma dall’area giudaica, gli scenari sul suo coinvolgimento nella contesa territoriale potevano essere due. Da un lato, è possibile che egli facesse parte degli ebrei superstiti della repressione di Adriano. Dall’altro lato, si può ipotizzare che egli non fosse stato dalla parte dei suoi compatrioti, ma che anzi avesse combattuto in una legione ausiliaria assoldata dall’imperatore nell’area ribelle, e che avesse poi disertato. Sono proprio queste due interpretazioni a spiegare sia la perdita della libertà da parte di Flamma, sia la sua tenacia nel rifiutarla.
Bisogna tenere a mente, infatti, che diventare nuovamente liberi non rappresentava sempre un vantaggio per i gladiatori. La fine del ludus, infatti, poteva significare l’ingresso in una quotidianità persino più complessa di quella dell’arena. Dimenticati facilmente di fronte ai nuovi arrivati, i vecchi combattenti dovevano fare i conti con il proprio passato e con il proprio futuro. E questo, per Flamma, avrebbe significato ritrovarsi faccia a faccia con una questione lasciata in sospeso molti anni prima…
Se fosse tornato in patria, infatti, il valoroso gladiatore non avrebbe goduto di alcuna riconoscenza da parte dei suoi fratelli ebrei. Se fosse restato a Roma da legionario disertore, sarebbe stato respinto da tutti come traditore. In ogni caso, dunque, il pileo non conveniva affatto al giovane siriano. Per Flamma, è chiaro, il rifiuto della libertà nascondeva qualcosa di molto più grande della paura di perdere gli applausi dei romani e di uscire dai riflettori. Alla fine, comunque, sarebbe stata l’arena a decidere per lui…