Venerato come animale sacro, elemento cardinale dell’antico culto egizio, il gatto poteva andare incontro ad un meticoloso processo di mummificazione fino ad oggi non adeguatamente compreso. Volenteroso di svelare questo enigmatico procedimento, un team interdisciplinare (composto da esperti provenienti dall’Università di Firenze e da Ausl Toscana Centro-Fondazione Santa Maria Nuova di Firenze) ha esaminato la mummia di un gatto conservata al Museo Etnologico Missionario Francescano di Fiesole.
Attraverso una tomografia assiale computerizzata – comunemente nota con la sigla TC – gli studiosi hanno potuto comprendere qualche dettaglio in più. Il gatto mummificato presenta delle lesioni alle vertebre cervicali e alle zampe. Chi ha provocato queste ferite, l’ha fatto in sede di sacrificio o imbalsamazione? La risposta a tale quesito aiuterebbe a chiarire ancor di più alcuni aspetti della ritualità egizia. Il team di studio comunque ribadisce come la tecnica utilizzata non sia intrusiva e non comporti il disfacimento dei bendaggi.
Ma dal lato prettamente tecnico, passiamo a quello storico-culturale. Il culto animale era centrale per la vita spirituale nell’Antico Egitto. Bisogna fare però una distinzione. Alcuni animali conducevano una vita tra cure e attenzioni massime, conoscendo la mummificazione dopo il naturale trapasso. Altri invece – e può essere il caso dei gatti, anche se non tutti – andavano incontro l’uccisione rituale e la conseguenze imbalsamazione. I vari templi rappresentavano una forte domanda per le mummie feline, soprattutto durante le festività religiose.
Soddisfare la richiesta dei fedeli, procedendo altresì in modo brutale nell’ottica contemporanea (ad esempio allontanando prematuramente i cuccioli dalle madri così da anticipare un futuro concepimento), era di primaria importanza. Ora concentriamoci sul protagonista diretto della vicenda, il gatto mummificato. Come ci è finito a Fiesole?
Egli fa parte della collezione archeologica del Convento Missionario dei Frati Francescani. Nel 1923 il succitato convento ricevette diversi reperti provenienti dall’Egitto e risalenti al tempo della XVIII Dinastia (1543-1292 a.C.), la prima del Nuovo Regno per intenderci. I reperti partirono da Luxor, ma la gran parte di questi restò per lungo tempo nella necropoli di Tebe, precisamente nel sito di Deir el Bahri. Qui vi operò il famoso egittologo italiano Ernesto Schiaparelli, legato ai Francescani in missione proprio in territorio egiziano.
La convergenza permise quindi alla mummia felina e ad altri reperti antichi di intraprendere il viaggio verso il Bel Paese. Lo studio odierno permetterà inoltre l’acquisizione di informazioni riguardanti il sesso, la razza, l’età dell’animale nonché l’eventuale presenza di materiali di riempimento.